25 Mar 2015
Domenica delle Palme, 29 marzo, distribuzione del tradizionale “Ciciliu della solidarietà” a cura dell’Associazione “Maria SS. dell’Elemosina” e della Caritas parrocchiale della Chiesa Madre.
Redazione SME
Fervono i preparativi per la realizzazione del tradizionale “Ciciliu” pasquale. Come ormai da diversi anni, anche domenica prossima si potrà acquistare questo tipico dolce offerto dai Soci dell’aggregazione mariana biancavillese per venire incontro ai bisogni delle famiglie povere assistite dalla Caritas parrocchiale. Già da stamattina, i Volontari SME, esperti nella preparazione del tradizionale dolce, “capitanati” dalla segretaria Giuseppina Ingrassia, si sono dati appuntamento nei locali della Basilica per la preparazione del “manufatto pasquale”.
Distribuzione: Sagrato della Basilica, Biancavilla – Domenica delle Palme, dalle ore 9,30 alle ore 13,00 e dalle ore 18,30 alle ore 20,00.
Cos’è il “Ciciliu”?
Può avere le forme più diverse. Con uno o più uova di gallina. Può essere salato o dolce. Alcuni sono anche molto colorati, grazie all’uso delle codette colorate.
Stiamo parlando del tipico “Cicilìu” di Pasqua. Ogni siciliano sa di cosa si tratta. Per gli altri, è bene sapere che si tratta del preparato che contraddistingue le tavole siciliane nei giorni di Pasqua.
Nella civiltà contadina siciliana, infatti, esso rappresentava il tipico dono che ci si scambiava a Pasqua. Bello per la forma, nutriente e sostanzioso.
La preparazione costituisce un vero e proprio rito comunitario. Il “Cicilìu” è un prodotto che nasce per creare condivisione e comunione. In passato questo dato era ancora più evidente, quando ci si riuniva in casa per la preparazione dell’impasto. C’era chi era più esperto nell’abile creazione delle figure più elaborate. Altri facevano spicciola manovalanza, limitandosi a spennellare la pasta con l’uovo sbattuto. Tra le forme più tipiche vi è il “ciciliu” a forma di cestino o campana, che può contenere anche più di 2 uova, l’”aceddu cu l’ovu” e la “cuddura” di solito con un numero di uova dispari. Ogni forma aveva il suo significato: la ciambella rotonda di pasta a treccia era per gli amici (per consolidare il legame affettivo), quello a forma di cuore per l’amato, il galletto o la colomba per i ragazzi (con l’augurio di poter spiccare presto il volo), la pupa per le ragazze (augurio di feconda femminilità), il cestino per le famiglie (auspicio di abbondanza).
E’ facile immaginare che più uova ci sono, più il “Cicilìu” assume importanza e significato di rispetto a chi si dona. Sembrerebbe, addirittura, che in passato esistesse un vero e proprio “galateo del Cicilìu” in base al quale quello da donare al fidanzato doveva essere ornato con 9-11 o più uova, quello della suocera con 7 uova, quello dei cognati con 5, quello dei nipotini con 3.
Questi tipici dolci pasquali assumono nomi diversi in Sicilia a seconda della località in cui sono preparati:“campanaru” o “cannatuni” a Trapani, “pupu ccù l’ovu” a Palermo, “cannileri” nel nisseno, “panaredda” ad Agrigento e a Siracusa, “cuddura ccù l’ovu” e “ciciliu” a Catania, “palummedda” nella parte sud occidentale dell’isola.
24 Mar 2015
Redazione SME
“La cultura è l’unico patrimonio dell’umanità che, diviso fra tutti, anziché diminuire diventa più grande.” Questa frase del filosofo Hans Georg Gadamer ha guidato in Sicilia i passi di un gruppo di studenti australiani associati all’I. C. S. A. (Istituto Cultura Sicilia Australia), un’organizzazione che promuove ponti culturali tra Australia e Sicilia creando eventi di particolare interesse che coinvolgono entrambi i territori. Nella tarda mattinata di oggi, detti studenti, dopo aver visitato diversi centri siciliani tutelati dall’UNESCO, hanno fatto tappa a Biancavilla, presso la Basilica Collegiata Santuario della Madonna dell’Elemosina. Ricevuti dal prevosto don Pino Salerno, i giovani alunni hanno, con meraviglia, visto ed apprezzato il tempio mariano gustandone con calma le linee architettoniche e le opere d’arte ivi conservate. Fra tutte, ammirata l’Icona della Vergine SS. dell’Elemosina e apprezzata la storia secolare e i benefici spirituali e materiali elargiti dalla Madre di Dio nei secoli sul popolo. A far da guida lo stesso don Salerno, nativo dello stesso continente oceanico e pertanto agevolato al dialogo per via della conoscenza della comune lingua. Al termine del tour, sono state offerte delle riproduzioni dell’Icona della Madonna che i giovani hanno portato con se per devozione e come ricordo della bella giornata biancavillese.
22 Mar 2015
“Se il chicco di grano caduto in terra non muore,
rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”
(Gv 12,24-25)
di Giuseppe Santangelo
Nella ricorrenza del centenario della nascita di mons. Giosuè Calaciura, la comunità biancavillese si è riunita oggi 22 marzo, per ricordare questa figura di uomo insigne, figlio della Chiesa e grande promotore della “salute” del prossimo ammalato, indigente e bisognoso…
Gli eventi commemorativi hanno avuto inizio questa mattina con una celebrazione liturgica in Basilica Santuario e proseguite nel pomeriggio con l’intitolazione al prelato di un tratto della nuova circonvallazione nord della città di Biancavilla, ed ancora, con una conferenza a Villa della Favare.
Nella celebrazione eucaristica mattutina, concelebrata da due vescovi, stimati amici di don Calaciura, S. E. mons. Alfio Rapisarda, nunzio apostolico emerito in Portogallo, e S. E. mons. Pio Vittorio Vigo, vescovo emerito di Acireale, si è pregato in suffragio di P. Calaciura. Nella sua omelia il vescovo presidente, Rapisarda, nel commentare la pagina evangelica della V Domenica di Quaresima – caratterizzata dall’insegnamento di Gesù sul chicco di grano che deve morire per generare una nuova vita – ha avuto modo di sottolineare la ferma testimonianza di fede evangelica resa da mons. Calaciura negli anni della sua vita terrena a favore e a sostegno di svariate iniziative caritative e sociali che hanno reso “grande” la sua persona nell’ambito della realtà cittadina, diocesana e provinciale (l’Ospedale, la casa di accoglienza e di cura per gli anziani, portatori di handicap e il centro riabilitativo per i tossicodipendenti…). “Se il chicco di frumento non cade nella terra e non muore non porta frutto” (Gv 12,24-25). Prendendo in prestito queste parole del Signore, l’arcivescovo Rapisarda, ha parlato di don Giosuè come esempio di integrità sacerdotale che si è “consumato” e “dato” a sostegno delle suddette opere da egli stesso pensate, create e portate avanti con un “amore palpitante” e una “passione generosa” che lo hanno reso caro ed apprezzato ancora oggi, a distanza di anni dalla sua scomparsa…
“Tutti coloro che vogliono seguire Cristo – ha ancora detto mons. Rapisarda -, che accettano questa nuova via, scelgono di porsi al servizio di Cristo e di camminare al suo fianco, così come ha fatto mons. Giosuè”.
La celebrazione, partecipata e a tratti commossa, si è conclusa con il tradizionale omaggio alla Vergine SS.ma dell’Elemosina di cui il prevosto Calaciura era molto devoto. La storia civile e religiosa ricorderà nei secoli i molti atti solenni e pubblici di onore e di riconoscimento verso la santa patrona dei biancavillesi (tra tutti la re-incoronazione della Sacra Effigie, dopo il furto dei preziosi del 1978), come anche lo zelo per il tempio che ne custodisce la sua sacra Immagine, che egli volle venisse eretto a Santuario Mariano, elevato alla dignità di Basilica Pontificia e che impreziosì ed abbellì con restauri straordinari… Gli Ecc.mi vescovi, portandosi quindi all’altare della Madre della Misericordia, hanno pregato con l’orazione liturgica della Madonna per la prosperità della città tutta per la quale don Calaciura operò a lungo e fruttuosamente, curandone la crescita cristiana ed insieme umana e sociale.
Appunti di Omelia…
Appunti “inediti” dell’omelia proferita dal Rev. Mons. Giosuè Calaciura (V Domenica di Quaresima), nella Basilica Collegiata di Biancavilla, 20 anni fa.
È valida la Quaresima? La nostra Quaresima? Ne dubito molto se nel sistema farisaico
Sarà valida se seguiremo quanto ci propone il Vangelo:
1°) quando fai l’elemosina…
significa misericordia… amore verso tutti. Non possiamo essere felici noi soli! Non possiamo mangiare noi soli (l’Africa)-
2°) quando preghi… contatto con Dio… la povera gente dell’Africa.
3°) quando digiunate… è diventato risparmio.
Come coloro che per spirito di povertà, non comprano… e poi mette il denaro alla banca.
Conclusione: la lettera dei vescovi dello Zaire: che tutto sia preso dalle mani del buon Dio… e risolvere i problemi sociali… non digiunate.
21 Mar 2015
Il poeta siracusano è tra i più apprezzati in Italia: «La scelta dell’immagine è dell’editore in quanto il volume parla della madre, ma affronta anche il tema del pellegrinaggio».
di Antonio Lanza
È un libro che per ampi tratti affronta il tema della madre, questo “Compitu re vivi” (Il dovere dei vivi) del siracusano Sebastiano Aglieco che, come a volte accade quando un poeta si trova a dover scendere nel buio di un sentimento così ancestrale e complesso, decide di usare la lingua più prossima alla sfera degli affetti: il siciliano. Questa scelta assume ancora più rilevanza e significato per un poeta come Aglieco che ha lasciato la Sicilia e la sua Sortino a ventiquattro anni, nel 1985, per Monza, città «dove non ha messo mai radici».
A questo punto il lettore si starà chiedendo il motivo per cui un articolo che parla del libro di poesie di un poeta siracusano venga pubblicato su una testata, Biancavilla Oggi, che di Biancavilla, appunto, esclusivamente si occupa. Il motivo risiede nella felice scelta dell’Editore, ‘Il ponte del sale’ di Rovigo, di inserire in copertina l’immagine del volto di una donna dall’espressione dolce e intensa accompagnata da quella del figlio, che compie una leggera torsione del collo per appoggiare la propria guancia a quella della madre. Uno straordinario gesto di amore che per un biancavillese non è difficile riconoscere, nonostante l’immagine sia stata oggetto di una rielaborazione grafica. Si tratta della Madonna dell’Elemosina venerata a Biancavilla da più di mezzo millennio. Una nota in terza di copertina recita infatti: «Madonna col bambino, da icona bizantina, XV sec., Biancavilla».
Non bisogna certo essere degli antropologi per intuire il valore simbolico che l’Editore, operando questa scelta, assegna alla nostra Madonna, quello cioè della Madre per eccellenza. Non è un caso che la Madonna dell’Elemosina venga chiamata tra i biancavillesi ‘Bedda Matri’, e il tema materno e, di riflesso, quello della condizione di essere figlio, come detto, siano i temi dominanti del libro di Aglieco, uno dei poeti contemporanei più apprezzati in Italia.
“Compitu re vivi” è un libro in cui «aleggia un’aura tragica e sacrale», un libro scritto nella lingua dell’infanzia, l’unica capace di recuperare sentimenti, persone, eventi familiari di un passato sepolto, l’unico strumento, il dialetto, capace di fare i conti con il dolore della perdita della madre rappresentata dal poeta allo stesso tempo nella sua dimensione umana e divina. E l’attento lettore non può non vedere condensate entrambe le componenti, l’umana e la divina appunto, nella magnifica immagine di copertina.
Raggiunto attraverso il potente mezzo di Facebook (che se un aspetto positivo ha, è certamente quello di accorciare le distanze e rendere i rapporti più facili e immediati, compreso quelli tra lettori e poeti), Sebastiano Aglieco ci conferma: «La scelta dell’immagine è dell’editore, in quanto il libro parla della madre, ma affronta anche il tema del pellegrinaggio. Quello alla Madonnina delle Lacrime a Siracusa, e l’altro a San Sebastiano di Melilli. Non sapevo si trattasse dell’icona venerata a Biancavilla ma, qualche mese fa, me lo fece notare un ragazzo di Biancavilla che avevo tra i miei contatti». Non sappiamo chi sia questo anonimo, e attento, osservatore biancavillese, ma quello che ci sentiamo di dire è che non è vero che la Poesia, di cui oggi si festeggia la Giornata mondiale, abbia così pochi appassionati.
A “Compitu re vivi” di Aglieco (che adesso vive e lavora a Milano, città non estranea alla poesia e, forse, dall’autore più amata rispetto a Monza) sono già stati assegnati diversi premi, tra cui il ‘Premio Selezione Ceppo Pistoia 2015” e il Premio ‘Salvo Basso 2014’, portando così un po’ di Biancavilla nell’eccellenza della poesia contemporanea.
da Biancavillaoggi.it
18 Mar 2015
Nel primo centenario della nascita di mons. Giosuè Calaciura (1915 – 22 Marzo – 2015), l’Associazione “Maria SS. dell’Elemosina” ricorda l’insigne figlio di questa terra, “devoto” oltre che grande promotore del culto alla Patrona, con le parole di Gerardo Sangiorgio, “finissimo intellettuale di formazione cristiana” (A. Tabucchi). Ne viene fuori un dialogo autentico di fede e di coraggio, che riporta l’impegno tra consacrati e laici a Biancavilla in uno dei periodi più fervidi della sua stagione post-conciliare.
1979, Don Calaciura assiste alla Reincoronazione dell’Icona della Madonna dell’Elemosina
«La Madonna dell’Elemosina, che vi si venera in un’icona di arte bizantina, portata dalle trenta famiglie di esuli albanesi, fondatori del nostro centro urbano, ha sempre riscosso una particolare devozione da parte del prevosto Calaciura, il quale – si può dire – ha punteggiato tutta la propria attivissima opera sacerdotale di segni di amore verso la Madonna, anzi verso la sua – e, direi, di tutta la cittadinanza – Madonna, la cui storica e miracolosa effigie orientale si è legata indissolubilmente alla coscienza religiosa dell’intero popolo biancavillese.» G. S.
1979, la lettera di esultanza di Don Calaciura nell’annunciare al Popolo la Reincoronazione della Celeste Patrona.
“Faville”, scrivere per accendere la fede
di Gerardo Sangiorgio
Faville, formativo di una vera coscienza religiosa in sommo grado, può definirsi un ampio squarcio della vita intima e sociale e, ad un tempo, del suo ministero pastorale di un sacerdote esemplare, tutt’altro che acquiescente, il quale viene «assalito» dalla costante ricerca, con tutti i mille «pungoli», di intendere quanto il Signore esige da lui; che insistente si trova a subire il tormento angoscioso di sondare quello che Dio vuole che faccia per i fratelli: che si sente addosso quel responsabile insieme di doveri di una vita, che non è affatto, come ben dice Manzoni, un peso per alcuni e un diletto per altri, ma è per tutti una somma di talenti che vanno saputi trafficare: e guai a non farlo.
«Il comodismo non è cristianesimo», ci ricorda di frequente don Calaciura. E’ tutto, in questo libro, l’uomo di Dio, motivato dall’assillante rovello di fare sempre e interamente ciò che risponde a una prevedibile «vocazione divina», l’uomo di Dio il quale possiede al suo attivo – in coerenza piena con i sublimi principi della sua tanto cosciente personalità religiosa – la fondazione di non poche importanti benefiche istituzioni sociali: due case di riposo per anziani e inabili, un ospedale civico, una missione e non è poco – nel lontano e obliato Zaire, un centro di rieducazione per tossicodipendenti.
1967, Don Calaciura prende parte ad una “lectura Dantis” tenuta dal prof. Gerardo Sangiorgio
Nonostante questo esuberante aspetto pratico e fattivo di mons. Calaciura, quanto ci dimostra in ogni pagina del volume è veramente straordinario: il suo saper guardare tutta la realtà circostante con l’occhio incantato del bambino – di quel bambino, di certo, a immagine del quale dobbiamo saperci conformare per entrare nel Regno dei Cieli – e, nello stesso tempo, con una sorprendente chiara, razionale, ben dosata in ogni circostanza e fervida di amore e di totale abnegazione, la soprannaturale – quella che ci richiama il biblico detto «Sapientia hominum stultitia est apud Deum», col suo contrario – saggezza cristiana.
I due aspetti del carattere dell’esimio sacerdote sono presenti nelle alte considerazioni che fa a proposito della sua celebrazione eucaristica col papa Giovanni Paolo II, in occasione di uno splendido e memorabile momento di udienza pontificia.
1979, Don Calaciura alla Missione di Muamba Mbuyi (Ex Zaire).
Si impone nel libro la caratteristica del sottosviluppo miserando di gran parte dell’Africa nera, quella, per intenderci, del rimprovero continuo per noi, che viviamo solo paghi del nostro benessere, noi cristiani che quegli esseri resi attendono al qualificante varco della fraterna carità; quella dei lebbrosi dall’aspetto orripilante; quella dei pigmei, dalle irrinunziabili, a volte strane consuetudini, ma da rispettare in ogni caso nell’azione evangelizzatrice missionaria. Nondimeno, si tratta sempre dell’Africa dei nostri fratelli più sofferenti, forse; al metro dell’aiuto dato loro saremo anche giudicati e nei riguardi dei quali opera provvidenzialmente l’inderogabile norma della Scrittura, che bolla il vuoto pietismo dei falsi cristiani, «soddisfatti» per non aver fatto alcunché di male a chicchessia, ma nemmeno condizione fuorviante, ma comodissima, di tanti fedeli, cui non si attaglia affatto la vita comoda – alcunché di bene: «Tu non sei stato né freddo né caldo, ed io ti vomiterò dalla bocca».
Mons. Calaciura è «un duro», un intransigente in fatto di religione, ma, prima che mostrare «la via stretta» che conduce al paradiso gli altri, ne dimostra anche in questo volume, come faceva quando «tonava» dall’altare con le sue omelie pregne di umanità, di concretezza e di esperienza di vita vissuta, il suo pratico articolarsi «in proprio». Tutto egli ha voluto tentare e provare, come appare anche in Faville, di ciò che in sintesi Paolo vedeva come la divisa del buon cristiano, vale a dire il farsi «omnia omnibus», e questo col fine di rendersi in concreto sacerdote «impegnato», perfettamente coerente con la sua parola di nunzio di Dio, aderente al suo credo religioso, che lo vuole attivo e fattivo operatore di bene, se a dire ancora di Paolo, è da attagliare a noi l’espressione «charitas Christi urget nos», è logico che questo «urgere» porti con sé anche un urto col mondo, ed è per questo che don Calaciura ha affrontato – e pazientemente, come appare dal volume! – le brighe con la giustizia.
Ma la personalità intera del sacerdote Calaciura esplode in tutta la sua alta consistenza
anni ’90. Don Calaciura presiede una processione estiva della Madonna dell’Elemosina.
quando si tratta di rendere la dovuta obbedienza al magistero della Chiesa e il debito onore alla sua gerarchia, verso la quale si rivela docile, devoto, rispettoso: si vedano le commosse pagine intrise di sentimento di venerazione per il suo esemplare e maestro di ascetica, don Placido Caselli, quando, giovane sacerdote, ne fu collaboratore nel locale Piccolo seminario, da quello fondato, e le altre per il vescovo biancavillese mons. Francesco Ricceri, verso il quale nutriva una timida riverenza, vedendoselo suo
1990, Don Calaciura pubblica “Faville” per le Ediz. “il Cenacolo”.
aiutante nei sacri uffici al tempo dello espletamento della sua mansione di parroco-prevosto nella Basilica “Maria SS. dell’Elemosina” di Biancavilla.
Per concludere, quelle di Faville sono pagine interessanti di vita di un vero sacerdote, pagine edificanti, da meditare, non aliene dalle drastiche prese di posizione in materia di autentica politica, che fanno dare non di rado severi ammonimenti agli uomini preposti al bene comune quando pare che di questo si dimentichino, come pure dell’esibizione dell’agognata “trasparenza”; pagine che sanno trasmettere un vitale impulso ad essere “veri” cristiani operanti non solo per la propria salvezza eterna, ma anche e soprattutto per quella degli altri.
da “La gazzetta dell’Etna”, p. 3, 31 ottobre 1990.
16 Mar 2015
Il Tempo liturgico della Quaresima rinnova l’uomo nella speranza in Colui che ha fatto passare il genere umano dalla morte alla vita… la Quaresima, tutta orientata al mistero della Redenzione, è definita “cammino di vera conversione”.
In questo cammino di perfezione evangelica, Maria viene incontro ai credenti, che, insieme con quello del Figlio, ebbe il suo Cuore immacolato trafitto dalla spada del dolore. Continuiamo pertanto la Quaresima in spirituale unione con Maria, che “ha avanzato nel cammino della fede” dietro il suo Figlio (cfr Lumen gentium, 58) e sempre precede i discepoli nell’itinerario verso la luce pasquale.
di Don Giuseppe Tomaselli S.d.B.
Sul Calvario, mentre si compiva il grande sacrificio di Gesù, si potevano mirare due vittime: il Figlio, che sacrificava il corpo con la morte, e la Madre Maria, che sacrificava l’anima con la compassione. Il Cuore della Vergine era il riflesso dei dolori di Gesù.
D’ordinario la madre sente le sofferenze dei figli più delle proprie. Quanto dovette soffrire la Madonna a vedere morire Gesù in Croce! Dice San Bonaventura che tutte quelle piaghe ch’erano sparse sul corpo di Gesù, erano nello stesso tempo tutte unite nel Cuore di Maria. – Più si ama una persona e più si soffre nel vederla soffrire. L’amore che la Vergine nutriva per Gesù era smisurato; lo amava di amore soprannaturale come suo Dio e di amore naturale come suo Figlio; ed avendo un Cuore delicatissimo, soffrì tanto da meritare il titolo di Addolorata e di Regina dei Martiri.
Il Profeta Geremia, tanti secoli pri¬ma, la contemplò in visione ai piedi del Cristo morente e disse: « A che ti paragonerò o a chi ti somiglierò, figlia di Gerusalemme? … La tua amarezza infatti è grande come il mare. Chi ti potrà consolare? » (Geremia, Lam. II, 13). E lo stesso Profeta pone in bocca alla Vergine Addolorata queste parole: « O voi tutti che passate per la via, fermatevi e vedete se c’è dolore simile al mio! » (Geremia, I, 12).
Dice Sant’Alberto Magno: Come noi siamo obbligati a Gesù per la sua Passione sofferta per nostro amore, così pure siamo obbligati a Maria per il martirio che ebbe nella morte di Gesù per la nostra eterna salute. –
La nostra riconoscenza verso la Madonna sia almeno questa: meditare e compatire i suoi dolori.
Gesù rivelò alla Beata Veronica da Binasco che molto si compiace nel vedere compatita la Madre sua, perché gli sono care le lacrime che Ella sparse sul Calvario.
La stessa Vergine si dolse con Santa Brigida che sono molto pochi coloro che la compatiscono e la maggior parte dimentica i suoi dolori; onde le raccomandò tanto di aver memoria delle sue pene.
La Chiesa per onorare l’Addolorata ha istituito una festa liturgica, che ricorre il quindici settembre.
Privatamente è bene ricordare tutti i giorni i dolori della Madonna. Quanti devoti dí Maria recitano ogni giorno la corona dell’Addolorata! Questa corona ha sette poste ed ognuna di queste ha sette grani. Che si allarghi sempre più la cerchia di coloro che onorano la Vergine Dolente!
E’ una buona pratica la recita quotidiana della preghiera dei Sette Dolori, che trovasi in tanti libri di devozione, ad esempio, nel «Massime Eterne».
Nelle «Glorie di Maria» Sant’Alfonso scrive: Fu rivelato a Santa Elisabetta Regina che San Giovanni Evangelista desiderava vedere la Beata Vergine, dopo essere stata assunta in Cielo. Ebbe, la grazia e gli apparvero la Madonna e Gesù; in tale occasione intese che Maria domandò al Figlio qualche grazia speciale per i devoti dei suoi dolori. Gesù promise quattro grazie principali:
• Chi invoca la Divina Madre per i suoi dolori, prima della morte meriterà fare vera penitenza di tutti i suoi peccati.
• Gesù custodirà questi devoti nelle loro tribolazioni, specialmente al tem¬po della morte.
• Imprimerà loro la memoria della sua Passione, con grande premio in Cielo.
• Gesù porrà questi devoti in mano di Maria, affinché Ella ne disponga a suo piacere e loro ottenga tutte le grazie che vuole.
da “Maria Regina e Madre di Misericordia”, Catania 1958 – foto di G. Sant’Elena.