in ricordo di Padre Maglia

Redazione SME

Sacerdote esemplare, dal carattere mite e gentile ma anche determinato, uomo di fede solida e robusta, ha formato molti giovani alla vita cristiana, ha alimentato la vita di fede del suo popolo per diverse generazioni.

I fedeli lo ricordano con vivo affetto.

nel 10° anniversario della dipartita
2001 – 22 novembre – 2011

Rev. Mons. CARMELO MAGLIA

Cappellano di Sua Santità

Rettore del Piccolo Seminario Arcivescovile
“S. Cuore di Gesù” – Biancavilla

Vicario foraneo
del XIII Vicariato pastorale
(Biancavilla – S. Maria di Licodia)

Prevosto Parroco
della Basilica Collegiata Santuario
“S. Maria dell’Elemosina” – Biancavilla

nato a Biancavilla l’8 Agosto 1925
ordinato Sacerdote il 24 Ottobre 1948
morto il 22 Novembre 2001

Requiem aeternam dona eo, Domine; et lux perpetua luceat eo.
In memoria æterna erit iustus, ab auditione mala non timebit.

Absolve, Domine, animas omnium fidelium defunctorum ab omni vinculo delictorum et, gratia tua illis succurente, mereantur evadere iudicium ultionis et lucis aeternae beatitudine perfrui.

una S. Messa di suffragio verrà celebrata martedì 22 Novembre alle ore 18,30 presso la Basilica Collegiata di Biancavilla.

Cristo regna sul mondo, ma non alla maniera del mondo

Redazione SME

La festa di Cristo Re fu istituita da Pio XI l’11 dicembre 1925 mediante l’enciclica Quas primas. Si trattava di una festa del tutto nuova, priva di precedenti nei calendari locali o religiosi. D’altronde, se nuova era la festa, non nuova era l’idea della regalità attribuita alla figura di Cristo, che non soltanto la Scrittura, i Padri e i teologi, ma anche l’arte sacra e il senso comune dei fedeli concordemente affermano. Perché il Papa avvertì il bisogno di istituire una ricorrenza specifica dedicata a questo mistero?

Se comandiamo che Cristo Re venga venerato da tutti i cattolici del mondo, con ciò Noi provvederemo alle necessità dei tempi presenti, apportando un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l’umana società“.

Quale peste? Quella – risponde il Papa nel paragrafo successivo – del laicismo: “La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi; e voi sapete, o Venerabili Fratelli, che tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società. Infatti si cominciò a negare l’impero di Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto — che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo — di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all’arbitrio dei principi e dei magistrati. Si andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell’irreligione e nel disprezzo di Dio stesso“.

Con ciò il Pontefice voleva porre l’accento proprio su quella specificazione della regalità che il laicismo nega, vale a dire la regalità sociale. Tale conclusione è confermata dall’indole dei testi liturgici della festa, promulgati dalla S. Congregazione dei Riti il 12 dicembre dello stesso anno.

Nel Breviario, l’inno dei Vespri afferma: “Te nationum praesides / Honore tollant publico, / Colant magistri, iudices, / Leges et artes exprimant. // Submissa regum fulgeant / Tibi dicata insignia: / Mitique sceptro patriam / Domosque subde civium” (traduzione: “Te i governanti delle nazioni esaltino con pubblici onori, te onorino i maestri, i giudici, te esprimano le leggi e le arti. Risplendano, a te dedicate e sottomesse, le insegne dei re: sottometti al tuo mite scettro la patria e le dimore dei cittadini”).

Dai testi della Messa, dal Vangelo, apprendiamo che il regno del Signore dev’essere inteso non solo in senso trascendente (regalità spirituale) ma anche immanente (regalità temporale o sociale). Quando infatti Pilato pone a Gesù la fondamentale domanda: “Ergo rex es tu?” si riferisce senza dubbio al concetto di regalità che egli, come romano e come pagano, possedeva, vale a dire al regno su questo mondo. Né deve trarre in inganno il fatto che Gesù risponda che il suo regno non è di questo mondo. Si noti, anzitutto, la scelta dei termini: il suo regno non èdi questo mondo“, ossia non è secondo le modalità dei regni terreni, come Gesù stesso precisa nello stesso passo: “Se il mio regno fosse di questo mondo, le mie guardie avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei: ma il mio regno non è di questo mondo”, e come la Chiesa ha sempre interpretato. Ma ciò non significa che non sia un regno su questo mondo. È ancora Gesù che, poco dopo, lo specifica: “Tu lo dici: io sono re. Io per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è per la verità, ascolta la mia voce” (Gv. 18, 33-37). La differenza, quindi, sta nel modo, non nell’oggetto. Gesù dichiara di essere venuto nel mondo per regnare su di esso, non però al modo dei monarchi terreni, che regnano per autorità delegata, direttamente e valendosi (in modo legittimo) della forza, ma al modo del Monarca eterno ed universale, che regna per autorità propria, indirettamente e pacificamente (“Rex pacificus vocabitur“, come ricorda Isaia). L’origine di questa regalità è celeste e spirituale, anche se i poteri regali sono esercitati nel mondo.

Davanti a Cristo Re dell'Universo: giudicati dall'Amore

 

di Padre Angelo del Favero, carmelitano

“A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri” (Ez 34,11-12.15-17).

Sono passate solo tre settimane dalla festa dei Santi ed eccoli nuovamente schierati davanti ai nostri occhi, alla destra del Re, nell’ultima domenica dell’anno liturgico, solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo. Sono tutti coloro che si sentiranno dire: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Un quadro grandioso e glorioso, dal quale il Creatore non vuole escludere nessuno:“Questa è l’adozione dei figli di Dio, i quali in verità diranno a Dio ciò che lo stesso Figlio dichiara, in san Giovanni, all’eterno Padre: “Tutte le cose mie sono tue, e tutte le cose tue sono mie” (Gv 17,10)”: così lo descrive san Giovanni della Croce, aggiungendo che l’anima fedele “parteciperà della stessa bellezza dello Sposo nel giorno del suo trionfo, quando vedrà Dio faccia a faccia” (Cantico Spirituale B, 36, 5). Oggi, però, il quadro comprende anche la schiera dei “dannati”. Sono coloro che, chiamati a realizzare la felicità della vita nel dono sincero di sé, vivono (per così dire) nel continuo “danno” di sé, poiché “fanno morta” la propria persona non volendo riconoscere né mettere in pratica il comandamento dell’amore: “tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non lo avete fatto a me” (Mt 25,45). Quella del Vangelo di oggi è una specie di immensa “fotografia di gruppo”, consegnata ad ognuno affinché scelga responsabilmente fin d’ora a quale delle due schiere del giudizio intende appartenere: quella degli eternamente vivi alla destra del Re, o quella dei morti per sempre alla sua sinistra. Perciò non illudiamoci: l’appartenenza benedetta delle pecore è un dono legato al compito quotidiano di una fedeltà chiamata a resistere “fino al sangue, nella lotta contro il peccato” (Eb 12,4), per la quale abbiamo “solo bisogno di perseveranza, perché, fatta la volontà di Dio, otteniamo ciò che è stato promesso” (Eb 10,36). Ma neppure disperiamoci: se riconosceremo pentiti il nostro cattivo odore di capri e cominceremo a fare le opere dell’amore, il “profumo di Cristo” (2 Cor 2,15) ci inebrierà per l’eternità. E tali opere le possiamo fare realmente poiché non ci manca l’aiuto determinante della divina Misericordia, la quale vuole: “che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4). Ma allora ci domandiamo: che significa vivere fin d’ora alla destra del Re? In altri termini: in cosa consiste essenzialmente la santità? La santità consiste nella perfezione dell’amore, ma l’amore può essere praticato in molti modi, secondo le varie personalità e circostanze. San Paolo lo afferma implicitamente quando, parlando della trasformazione totale dell’uomo nella risurrezione finale, dice che “ogni stella differisce da un’altra nello splendore” (1 Cor 15,41). Paolo intende qui una diversità permanente nello stato glorioso definitivo. Per questo, sebbene i martiri nei primi tempi della Chiesa fossero considerati come i veri cristiani e santi, si ammise poi che potevano esserci anche altri modi di “morire a se stessi”, che esigevano essenzialmente le stesse virtù ammirate nei martiri. E’ così che attraverso la contemplazione dell’opera salvifica di Cristo, personificata nei suoi santi, i credenti sono ricondotti al mistero fondamentale della santità cristiana, che è in persona lo stesso Signore Gesù Cristo. Ancora Paolo, infatti, rivela che: “E’ in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate della pienezza di lui, che è il capo di ogni Principato e di ogni Potenza” (Col 2,9). Con la loro morte, i martiri e tutti i santi testimoniano l’incredibile mistero della fede. In tal modo, nel Figlio incarnato quella santità che per gli ebrei solo Dio poteva possedere e comunicare, viene resa accessibile a tutti gli uomini, che ne vengono santificati. I cristiani sono “santi” per il loro rapporto con Colui che è il Santo per eccellenza, “dalla cui pienezza noi tutti abbiamo ricevuto” in dono e compito la santità battesimale (Gv 1,16). La vita dei santi è una dimostrazione continua della nostra collaborazione con la grazia divina. Spesso i biografi dimenticano che la santità è una conquista graduale, e omettono o riducono al minimo le testimonianze della lotta interiore sostenuta dalla debolezza dei santi, con le loro cadute e il loro continuo rialzarsi. In fondo, il primo di quelli alla sua destra a cui il Re dirà “Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo” (Mt 25,34), è il malfattore che fu crocifisso con Lui sul Calvario (Lc 23,33.43).

Adsense

Archivio

Traduci