Gay e omosessuali: precisazioni. E la certezza che dall'omosessualità si può uscire.

Le polemiche generatesi intorno alla storia personale di Lucio Dalla, ci danno l’occasione per raccontare ai nostri lettori una storia davvero molto bella e piena di speranza. Una conversione di vita. Nulla è perduto nella mani di Dio.

Redazione SME

 Non tutti gli omosessali sono gay. Per il dottor Joseph Nicolosi* è essenziale fare questa importante distinzione: “Gli attivisti gay vorrebbero che noi credessimo che tutti gli omosessuali sono gay. La parola “gay” indica una identità socio-politica. Omosessuale, invece, è semplicemente una descrizione di un problema psicologico, di un orientamento sessuale”.

Una precisazione importante: “Ci sono persone che rilevano una tendenza omosessuale, ma rifiutano l’etichetta di gay. Non vogliono essere chiamati “gay” perché non si riconoscono in quella identità socio-politica e con lo stile di vita gay”. Ovvero con l’omosessualità ostentata come un fattore d’orgoglio.

Ma la vera questione dirompente è un’altra: dall’omosessualità si può uscire. Infatti, omosessuali non si nasce, si diventa. Le tendenze omosessuali emergono a seguito di alcuni fattori come le condizioni familiari in cui si cresce o particolari situazioni di vita. Tali tendenze possono anche essere sconfitte. Non si tratta di una teoria strampalata, una delle tante trovate giornalistiche. E’ l’esperienza di Luca Di Tolve, ex gay militante ora felicemente sposato che nel suo libro “Ero gay. A Medjugorje ho ritrovato me stesso” (Piemme, 2011) racconta la sua storia. Una storia di grande sofferenza. Figlio di genitori divorziati, dopo l’abbandono del papà, Luca si è trovato fin da piccolo a vivere solo con la mamma, che divenne ben presto il suo unico modello e riferimento. L’assenza del padre e le attenzioni della madre lo portarono ad assumere atteggiamenti effeminati che poi sfociarono in atti omosessuali. Quando si rese conto del suo stato, Luca consultò alcuni psicologi, che all’unanimità gli dissero che doveva rassegnarsi al suo orientamento sessuale, accogliendolo con serenità. Da quel momento iniziò per Luca, come egli stesso ha raccontato, una vita di trasgressioni e vizi, a base di sesso, alcol e sostanze stupefacenti. Frequentatore assiduo di locali gay, dei «ghetti» li definisce, in cui ci si isola dalla realtà, animatore di quelle feste fatte di luci e colori volti a soffocare il vuoto interiore, Luca divenne ben presto molto ricco. In una città come Milano non era difficile incontrare fidanzati facoltosi, che permettevano ai loro amanti di condurre una vita agiata. Luca Di Tolve ha vinto anche il titolo di Mister Gay nel 1990, un concorso di bellezza per omosessuali e ha fatto parte della dirigenza dell’Arcigay.  Giovane, bello, richiesto a eventi mondani, feste e spettacoli, visse ogni esperienza di trasgressione. Ma c’è qualcosa che non va: Luca non è felice.

Poi, all’improvviso, la situazione cambiò. Nel momento in cui molti dei suoi amici o dei suoi compagni morirono di Aids, Luca iniziò a riflettere sulla sua condizione. La svolta arrivò quando si rese conto di essere egli stesso sieropositivo. I medici gli avevano dato tre mesi di vita. In quel momento ebbe un crollo. Benché avesse una spiritualità tutta sua, legata principalmente ai culti orientali, incominciò a pregare la Madonna con una corona del Rosario che trovò in casa. Poi andò a confessare i propri peccati ad un frate, il quale lo incoraggiò invitandolo a comportarsi da buon cristiano. Da allora, grazie a validi psicologi e a buoni sacerdoti, Luca ha intrapreso il duro cammino che lo ha portato al pieno recupero della sua identità maschile. Di grande aiuto, oltre all’adorazione eucaristica e alla frequenza assidua ai sacramenti, è stata la terapia dello psicologo americano Joseph Nicolosi, autore di molti libri sul tema dell’omosessualità. “Ho cominciato a leggere i suoi libri – racconta – e ho scoperto della terapia riparativa, del fatto che le pulsioni nei confronti dell’altro sesso spariscono se smetti di idolatrare gli uomini perché tu non riesci ad essere come loro, che l’omosessualità può nascere da un senso di rivalsa di un bimbo che vorrebbe avere più attenzioni da un padre assente”. Se è vero che la lobby gay, per meri interessi economici e ideologici, hanno fatto pressione affinché l’Organizzazione Mondiale della Sanità rimuovesse l’omosessualità dalle patologie, è altrettanto vero che la stessa organizzazione internazionale richiama gli psicologi al dovere di aiutare quegli omosessuali che non accettano la propria condizione e decidono di ricorrere alla psicoterapia.

Proprio per questo, Di Tolve, che oggi ha 40 anni e vive insieme a sua moglie Teresa, ha deciso di dar vita al Gruppo Lot (www.gruppolot.it/), una onlus cattolica che, con la collaborazione di psicologi e sacerdoti, mira a soccorrere tutte le persone sofferenti che portano dentro di sé ferite e dipendenze a livello emotivo, relazionale e di identità sessuale. Le richieste di aiuto provengono da ragazzi e ragazze di tutta Italia. Una vera e proprioa sfida al politicamente corretto e all’ideologia del gender oggi dominante.

La storia di Luca Di Tolve è diventata famosa grazie alla canzone di Povia, intitolata appunto: “Luca era gay”, che al Festival di Sanremo del 2009 ha vinto il “Premio Mogol”.

C’è una intera popolazione – conferma il dottor Nicolosi – di individui che sono usciti o che stanno uscendo dall’omosessualità, e questo fatto è una minaccia per gli attivisti gay, e gli attivisti gay stanno tentando di sopprimere e far passare sotto silenzio questo punto di vista, questa popolazione”.

*Joseph Nicolosi è direttore dell’Associazione Nazionale per la Ricerca e la Terapia dell’Omosessualità (NARTH), membro dell’Associazione Psicologica Americana, autore di numerosi libri e articoli scientifici. In italiano sono disponibili i seguenti volumi: JOSEPH NICOLOSI, Omosessualità maschile, un nuovo approccio, Milano, Sugarco Edizioni, 2002; JOSEPH NICOLOSI, LINDA AMES NICOLOSI, Omosessualità: una guida per i genitori, Milano, Sugarco Edizioni, 2003. Il sito del NARTH, sul quale è disponibile materiale in italiano, ha il seguente URL: http://www.narth.com/. Roberto Marchesini ha intervistato Joseph Nicolosi per i nostri lettori.

Volevano fare di Lucio Dalla una bandiera gay

Sterili polemiche  all’indomani dei funerali di Lucio Dalla. Lobbies gay e ideologi laicisti non perdono l’occasione per lanciare le loro accuse alla Chiesa. E’ possibile, ci chiediamo noi, apprezzare una persona senza identificarla per le tendenze sessuali? L’omosessualità, laddove sussista, si può vivere anche cristianamente. E non è ipocrisia.
 
di Alessandro Scaccianoce
 
Volevano fare di Lucio Dalla la loro bandiera, l’ennesimo simbolo dell’orgoglio gay. Ma non ci sono mai riusciti, perchè il cantante era «una persona di grande fede» che non ha «mai voluto conclamare la propria omosessualità». A fare chiarezza, autorevolmente, è il confessore del grande cantautore bolognese, che respinge le accuse di ipocrisia lanciate contro la Chiesa cattolica da una giornalista come Lucia Annunziata, che ha ritenuto con queste parole di dover difendere la “cultura dell’orgoglio gay”:
“I funerali di Lucio Dalla sono uno degli esempi più forti di quello che significa essere gay in Italia: vai in chiesa, ti concedono i funerali e ti seppelliscono con il rito cattolico, basta che non dici di essere gay. È il simbolo di quello che siamo, c’è il permissivismo purché ci si volti dall’altra parte”.
Queste posizioni, sono state sponsorizzate, guarda caso, dalle colonne del quotidiano “La Repubblica”. Il commento migliore è quello di padre Boschi: «Questi soloni che imperversano non sanno niente della Chiesa, che condanna il peccato, ma non il peccatore, soprattutto se questi fa un certo cammino». Si tratta di attacchi «micidiali sul piano umano» ha aggiunto il padre domenicano. «Sono andato tante volte a casa di Lucio – dichiara –  c’era anche Marco Alemanno e non ho mai visto nulla». Sbaglia, secondo il sacerdote, chi ha malinteso la sua mano verso il giovane. «Era un povero ragazzo che soffriva – sottolinea – si dà quello che si ha e dobbiamo dare il bene. Ma se dentro le persone c’è la malizia, uno la vede ovunque». Taglia corto anche monsignor Giovanni Silvagni, Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Bologna: «Non è stata la celebrazione di un funerale omosessuale, ma il funerale di un uomo». Tali polemiche, secondo il Vicario vogliono soltanto «spostare il tema su un aspetto secondario, una strumentalizzazione tardiva che si commenta da sola».
E che Dalla non avesse alcuna intenzione di dichiararsi gay lo conferma anche un’intervista del 1979 da lui rilasciata alla rivista «Lambda», che è possibile reperire anche in rete. Dalla si rifiutò di dirsi gay e di fare dell’identità sessuale una questione pubblica: «Non mi interessa parlartene – dice – perché dovremmo stare sulla questione per giorni interi. E poi credo che non ve ne sarebbe bisogno, nel caso fosse vero. Io sostengo che ognuno deve comportarsi correttamente secondo la sua organizzazione mentale, la sua organizzazione sociale, ma fare dichiarazioni di voto mi sembra ridicolo. Non appartengo a nessuna sfera sessuale».«Sono un uomo isolato – aggiunge – ecco perché mi rifiuto di collocarmi nel Pci, col quale non ho alcuna “area culturale” in comune. Sono un uomo abbastanza appartato anche a livello di sentimenti. Sono solo perché lo voglio essere, organizzo il mio mondo forse malinconicamente ma con coraggio, mi sento molto vicino al mondo del lavoro».Infine, il cantautore chiarisce una volta per tutte: «Non mi sento omosessuale, ma veramente, spero che lo capisca. La mia cultura non è una cultura omosessuale, il mio modo di organizzare il lavoro non è omosessuale, ho amici quasi tutti eterosessuali; ho anche amici omosessuali che rispetto e ai quali voglio molto bene. Sono un uomo molto confuso, in tutto, ma credo che gli uomini abbiano il diritto a essere confusi, perché sono sgradevoli quelli che si ritengono conclusi».

Anche per questo ieri padre Boschi ha aggiunto: «Ho avuto una sensazione molto sgradevole, di mancanza di civiltà nel leggere le polemiche sui giornali. Quelli che criticano sono sciacalli, iene. Sputano sentenze su cose più grandi di loro».

Si parla tanto di libertà e di rispetto delle scelte individuali di ciascuno. Ma questo, evidentemente, sembra vero solo in una direzione. Chi sceglie infatti di vivere la propria esistenza senza aderire ai dogmi della cultura imperante viene automaticamente tacciato di ipocrisia. E’ possibile non parlare in pubblico delle proprie tendenze sessuali?
Sono ben presenti alla nostra memoria le polemiche di alcuni giornalisti moralisti-bacchettoni quando la Chiesa, a loro dire, ha negato i funerali (caso Welby). Stavolta qualcuno ha voluto scandalizzarsi perchè la Chiesa ha concesso i funerali.
Ricordiamo in proposito, richiamando le parole di Cantuale Antonianum che “la Chiesa mai e poi mai condannerà le inclinazioni o le tendenze di chichessia. Sono solo le azioni ad essere giustamente definite un peccato. Sia omo che etero, ricordiamolo bene. E nessuno fa un processo alle intenzioni o ai sospetti.
Dove non solo non c’è certezza dei fatti, ma c’è pure il segno di una tenace volontà di adempiere ai precetti di Cristo e della Chiesa, con una vita più coerente possibile con il proprio credo, e pur con tutte le difficoltà poste dai limiti umani, perché mai, mi si spieghi, si dovrebbe negare il funerale cristiano, che è – tra l’altro – una invocazione per il perdono dei peccati che Dio conosce (e noi no)?”. Per il funerale in chiesa, infatti, a norma del Diritto canonico, viene accolto ogni fedele, in tal modo accompagnato con la preghiera davanti al giudizio di Dio, che abbia riconosciuto in vita di essere un peccatore bisognoso della misericordia di Dio. Non c’è quindi nessuna ipocrisia, solo criteri chiari che sanno distinguere il peccato dal peccatore.
Il fatto che ci si dichiari credenti  – sono nozioni basi, ma giova ribadirle – non vuol dire essere senza peccato, giusti o irreprensibili. Il credente è chi ha coscienza di essere creatura limitata e finita ma amata dal Padre al di là di ogni debolezza umana. Forse a qualcuno può dar fastidio chiamare certi atti come peccato. Specialmente se questo peccato viene sbandierato “orgogliosamente” come condizione di libertà e di emancipazione.  Ma è la realtà che ci impone uno sguardo obiettivo. Altra cosa è invece ciò che si agita nel cuore dell’uomo e il modo in cui ciascuno vive la prospria esistenza. Così commenta oggi La Bussola Qotidiana: “Lucio Dalla non aveva mai voluto parlare della sua vita privata, e di quello che aveva nel cuore a noi non è dato né sapere né giudicare.  Né ci deve interessare”. C’è una sfera che non può entrare nel giudizio di nessun giornalista o attivista gay di turno: è la coscienza, involabile e intangibile, di ogni uomo.
 
 
Di seguito il link al lucido commento di Giuliano Ferrara nella puntata di Radio Londra di ieri sera:

 
 

La Quaresima non passi senza lasciare traccia

Pubblichiamo di seguito brani di meditazione sulla Quaresima e sulla penitenza di San Josemarìa Escrivà, fondatore dell’Opus Dei. Brevi riflessioni capaci di illuminare nel profondo la vita spirituale.

Redazione SME

Quale miglior modo di vivere la Quaresima?
Il rinnovamento della fede, della speranza e della carità è la fonte dello spirito di penitenza, che è desiderio di purificazione. La Quaresima non è solo un’occasione per intensificare le nostre pratiche esteriori di mortificazione: se pensassimo che è solo questo, ci sfuggirebbe il suo significato più profondo per la vita cristiana, perché quegli atti esterni – vi ripeto – sono frutto della fede, della speranza, dell’amore.
E’ Gesù che passa, 57

Un momento unico
Non possiamo considerare la Quaresima come un periodo qualsiasi, una ripetizione ciclica dell’anno liturgico. È un momento unico; è un aiuto divino che bisogna accogliere. Gesù passa accanto a noi e attende da noi – oggi, ora – un rinnovamento profondo.
E’ Gesù che passa, 59

La Quaresima ci pone davanti a degli interrogativi fondamentali: cresce la mia fedeltà a Cristo, il mio desiderio di santità? Cresce la generosità apostolica nella mia vita di ogni giorno, nel mio lavoro ordinario, fra i miei colleghi?
E’ Gesù che passa, 58

Amore con amor si paga
L’appello del Buon Pastore giunge sino a noi: “Ego vocavi te nomine tuo”, ho chiamato te, per nome. Bisogna rispondere – amore con amor si paga – dicendo: “Ecce ego, quia vocasti me” (I Reg III, 5), mi hai chiamato, eccomi: sono deciso a non fare che il tempo di Quaresima passi come l’acqua sui sassi, senza lasciare traccia; mi lascerò penetrare, trasformare; mi convertirò, mi rivolgerò di nuovo al Signore, amandolo come Egli vuole essere amato.
E’ Gesù che passa, 59

Tempo di penitenza, quindi. Ma la penitenza, lo abbiamo già visto, non è un compito negativo. La Quaresima va vissuta in quello spirito di filiazione che Cristo ci ha comunicato e che palpita nella nostra anima. Il Signore ci chiama ad avvicinarci a Lui con il desiderio di essere come Lui: Fatevi imitatori di Dio quali figli suoi carissimi, collaborando umilmente ma con fervore al divino proposito di unire ciò che è diviso, di salvare ciò che è perduto, di ordinare ciò che il peccato dell’uomo ha sconvolto, di ricondurre al suo fine ciò che se ne è allontanato, di ristabilire la divina concordia di tutto il creato.
E’ Gesù che passa, 65

Ti stai risolvendo a formulare propositi sinceri?
Chiedi al Signore che ti aiuti a incomodarti per amor suo; a mettere in tutto, con naturalezza, il profumo della mortificazione che purifica; a spenderti al suo servizio senza spettacolo, silenziosamente, come si consuma la lampada che palpita accanto al Tabernacolo. E se per caso in questo momento non ti riesce di vedere come rispondere concretamente alle divine richieste che bussano al tuo cuore, ascoltami bene.
Amici di Dio, 138

Penitenza è…

Penitenza è osservare esattamente l’orario che ti sei prefisso, anche se il corpo oppone resistenza o la mente chiede di evadere in sogni chimerici. Penitenza è alzarsi all’ora giusta. E anche non rimandare, senza giustificato motivo, quella certa cosa che ti riesce più difficile o più pesante delle altre.

La penitenza è saper compaginare i tuoi doveri verso Dio, verso gli altri e verso te stesso, essendo esigente con te stesso per riuscire a trovare il tempo che occorre per ogni cosa. Sei penitente quando segui amorosamente il tuo piano di orazione, anche se sei stanco, svogliato o freddo.

Penitenza è trattare sempre con la massima carità il prossimo, a cominciare dai tuoi cari. È prendersi cura con la massima delicatezza di coloro che sono sofferenti, malati, afflitti. È rispondere pazientemente alle persone noiose e importune. È interrompere o modificare i nostri programmi quando le circostanze — gli interessi buoni e giusti degli altri, soprattutto — lo richiedono.

La penitenza consiste nel sopportare con buonumore le mille piccole contrarietà della giornata; nel non interrompere la tua occupazione anche se, in qualche momento, viene meno lo slancio con cui l’avevi incominciata; nel mangiare volentieri ciò che viene servito, senza importunare con capricci.

Penitenza, per i genitori e, in genere, per chi ha un compito di direzione o educativo, è correggere quando è necessario, secondo il tipo di errore e le condizioni di chi deve essere aiutato, passando sopra ai soggettivismi sciocchi e sentimentali.

Lo spirito di penitenza induce a non attaccarsi disordinatamente al monumentale abbozzo di progetti futuri, nel quale abbiamo già previsto quali saranno le nostre mosse e le nostre pennellate da maestro. Com’è contento il Signore quando sappiamo rinunciare ai nostri sgorbi e alle nostre macchie pseudomagistrali, e consentiamo a Lui di aggiungere i tratti e i colori che preferisce!
Amici di Dio, 138

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