V stazione: Gesù incontra sua madre…

Meditazioni sulla V stazione della via Crucis illustrate con i simulacri della Vergine Addolorata che si venerano a Biancavilla, Adrano, Santa Maria di Licodia e Paternò (in provincia di Catania).

 

Sulla Via Crucis di Gesù c’è anche Maria, sua Madre. Durante la sua vita pubblica dovette farsi da parte, per lasciare spazio alla nascita della nuova famiglia di Gesù, la famiglia dei suoi discepoli. Dovette anche sentire queste parole: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?…Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12, 48-50). Adesso si vede che ella, non soltanto nel corpo, ma nel cuore, è la Madre di Gesù. Ancor prima di averlo concepito nel corpo, grazie alla sua obbedienza, lo aveva concepito nel cuore. Le fu detto: “Ecco concepirai un figlio…Sarà grande…il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre” (Lc 1, 31ss). Ma poco dopo aveva sentito dalla bocca del vecchio Simeone un’altra parola: “E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2, 35). Così si sarà ricordata delle parole pronunciate dai profeti, parole come queste: “Maltrattato, si lascò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello” (Is 53,7). Ora tutto questo diventa realtà. Nel suo cuore avrà sempre custodito la parola che l’angelo le aveva detto quando tutto cominciò: “Non temere, Maria” (Lc 1,30).

I discepoli sono fuggiti, ella non fugge. Ella sta lì, con il coraggio della madre, con la fedeltà della madre, con la bontà della madre, e con la sua fede, che resiste nell’oscurità: “E beata colei che ha creduto” (Lc 1, 45). “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18, 8). Sì, in quel momento egli lo sa: troverà la fede: Questa, in quell’ora. è la sua grande consolazione” (Benedetto XVI).

Sotto la croce Maria è chiamata a dire un secondo “sì”, dopo il sì dell’Annunciazione, con il quale è diventata Madre di Gesù, aprendo così la porta alla nostra salvezza.

Con questo secondo sì Maria diventa madre di tutti noi, di ogni uomo e di ogni donna per i quali Gesù ha versato il suo sangue. Una maternità che è segno vivente dell’amore e della misericordia di Dio per noi. Per questo sono tanto profondi e tenaci i vincoli di affetto e di fiducia che uniscono a Maria il popolo cristiano; per questo ricorriamo spontaneamente a lei, soprattutto nelle circostanze più difficili della vita.

Maria, però, ha pagato a caro prezzo questa sua universale maternità.

“Il primo significato dello sguardo che la Madre porta al Figlio è una identificazione. Chi avrebbe creduto che il Creatore, perché noi vivessimo il rapporto con tutte le cose, avrebbe dovuto perderle per poi riaverle? Sua Madre lo ha creduto subito. Madonna, rendici partecipi della coscienza con cui tu guardavi tuo Figlio morire solo, solo, sulla croce. Guardavi tuo Figlio camminare con gli uomini per cui è venuto a morire, solo” (don L. Giussani).

 

Orazione.

Maria, amando il tuo Cristo, rigeneri l’uomo nuovo, 

aiutaci a sperimentare nelle nostre anime

quella sofferenza piena di amore

che ti ha unito alla croce del tuo Figlio

per godere con te della gioia della risurrezione.

 Per Cristo nostro Signore.

Amen.

I cristiani digiunano ancora?

Redazione SME
 
I credenti oggi digiunano ancora in preparazione alla Pasqua? È ancora osservato il precetto dell’«astinenza dalle carni»? E, più in generale, il senso cristiano della penitenza rimane vivo o viene scalzato da un certo buonismo “pastorale”? Esperti e teologi interpellati sulla questione variano le loro considerazioni al riguardo. Il giudizio di padre Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”, è netto: «Fare penitenza in Quaresima significa imparare a vincere le passioni momentanee per ricordarci dell’essenziale, vivere i quaranta giorni di deserto col Signore e non con noi stessi. Credo che stiamo perdendo questa abilità dello spirito cristiano».
 
Per Lucio Coco, studioso di patristica occorre recuperare il senso profondo del “fare a meno” per motivi spirituali: «La quaresima ci ricorda questo: “Fatti un po’ da parte, cedi il passo, smetti di accontentare te stesso, pensa agli altri. Riduci il tuo io, non cedere alla lusinga della tentazione che ti promette potenza”». La parola “penitenza”, spiega il patrologo, ha nella sua etimologia la radice “pena”: «Riecheggia un certo senso di giustizia che noi esercitiamo nei confronti di noi stessi privandoci di qualcosa. Tuttavia non rende la ricchezza del termine greco che traduce, “metánoia”. In questo caso non prevale la pena, ma il cambiamento di abitudini, pensiero e stili di vita». Conversione, dunque: «Io posso anche digiunare ma non come un automatismo. La penitenza dei Padri, cioè la conversione, prima della giustizia prevede un atto di fede. Diversamente, senza questo nostro re-inserirci in Dio, ogni nostra azione risulterebbe slegata perché priva di quell’atto di fede in Cristo, presupposto di ogni autentica penitenza».

Cettina Militello, docente al Marianum di Roma, conferma la percezione della «perdita della dimensione penitenziale come palestra di autoriconduzione ai valori veri. Ciò si inscrive nella cesura della fede, ovvero la rottura della trasmissione della fede che è un tutt’uno con la perdita culturale di un modello austero del vivere, del parlare, dell’agire».
 
«Non ho dati o numeri precisi ma posso attestare, dalla mia frequentazione del mondo giovanile che tra i giovani forse il 10% sa e pratica il digiuno e non mangia carni i venerdì di quaresima. Il panorama su questo aspetto è desolante e preoccupante». La sconsolante disamina viene da un esperto in materia, il teologo Massimo Salani, docente allo Studio teologico di Camaiore (Lu) e all’Issr di Pisa. 
 
E oggi, com’è la situazione? «Tra i fedeli, salendo con l’età, ci si trova davanti ad una pratica del digiuno frutto più che altro di tradizione, ma non di convinzione». Occorre riscoprire le motivazioni spirituali del digiuno, ma anche l’astinenza dalle carni va rimotivata: «Il problema non è tralasciare la bistecca e mangiare salmone, ma capire che quanto spendo per la carne posso donarlo agli ultimi».E oggi servono nuove forme di digiuno? Gli esperti interpellati avanzano proposte. Spadaro: «Occorre recuperare una “passività buona”. Noi agiamo spesso come risposta a stimoli. L’interattività è la categoria del nostro agire. Invece è necessario un tempo per “limitarsi” a guardare, leggere o ascoltare senza cedere alla tentazione a rispondere agli stimoli: “Ho fame, dunque mangio; arriva una mail dunque devo leggerla, …”. Questa passività consiste nel riuscire a farsi incontrare dalle cose, dalle persone, da Dio. Se viene cancellata, non c’è lo spazio perché qualcosa di “nuovo” possa nascere nella nostra vita, tanto meno la conversione». Coco evoca il “non necessario”: «Si cerca di estendere il digiuno ad altre pratiche, quali spegnere il televisore o evitare il superfluo. In alcuni casi ho notato la tendenza recente a evitare le varie forme di giochi e scommesse che stanno proliferando». Salani sostiene di voler «difendere il valore del digiuno alimentare. I Padri sostenevano che “il digiuno è l’anima della preghiera”. Non è questione di estetica o di perdere qualche etto, ma di riscoprire il legame che lega digiuno, preghiera e carità».

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