Madre dei Dolori che ben conosce il patire
di Fra Carlo M. Massimiliano Terlizzi FI
la Profezia di Simeone con le immagini dell’Addolorata di Biancavilla e Adrano
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima».
Consideriamo in questo mistero il grande dolore di Maria, l’Immacolata, che porta Gesù al Tempio per offrirlo all’Eterno Padre, anche con un atto esterno, richiesto dalla Legge di Mosè. Per Gesù, Uomo-Dio, ciò non era necessario, poiché Egli era già tutto di Dio, essendo Egli stesso Dio oltre che uomo. Eppure, Maria volle osservare ugualmente questa Legge.
Consideriamo, però, solo per un attimo, la grande gioia di Maria in quest’atto solenne, nel quale ella rinnovava l’offerta che già aveva interiormente fatta fin dall’Annunciazione, per poterci ancora meglio preparare a considerare il contrasto del suo dolore.
In questa offerta di Gesù al Padre si rinnova, dunque, tutta la gioia e la felicità interiore di Maria Immacolata, che, offrendo Gesù, pensava a tutte quelle anime che doveva e voleva offrire a Dio, proprio come faceva in quel momento con il Figlio Divino. Ella, giustamente, riconoscendo che a Dio si deve ogni Onore e Gloria, Gli offre anzitutto il frutto più bello dell’Amore tra Lei e Dio stesso, cioè Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo nel suo grembo verginale. Con quest’atto di offerta Ella offre anche tutta l’umanità, alla quale sarà poi data pubblicamente per Madre dallo stesso Gesù sul Calvario. La gioia della donazione totale di Gesù, rinnovata in quell’atto, era anche alimentata dalle parole del “giusto” Simeone, che prese a lodare Dio e ad esaltare Gesù: «…luce per illuminare le genti e gloria del popolo di Israele».
Chissà, dunque, quale fu la gioia di Maria all’udire quelle parole, insieme con Giuseppe suo Sposo! Penso che dopo la gioia per la nascita di Gesù, questa fu la gioia più grande per Lei e Giuseppe.
Subito dopo, però, Ella ode le altre parole di Simeone, che non sono più gioiose ma dolorose, non più liete ma meste; e alla dolce Maria inizia ad entrare nel cuore quella spada appena profetizzata e recante con sè dolore amaro e violento: «Egli sarà segno di contraddizione e a te una spada trafiggerà l’anima» (cf Lc 2, 34-35).
Da allora in poi, sempre più, nel suo Cuore Immacolato, entrerà quella spada dolorosa, che la immolerà totalmente insieme al suo Gesù. Da allora in poi, ogni volta che guarderà Gesù, che lo contemplerà, Ella ricorderà questa profezia del vecchio Simeone ed ogni volta si rinnoverà il suo dolore per ciò che Gesù dovrà subire.
Ella ogni volta ripeterà il suo “Fiat!”, così come lo pronunciò all’Annunciazione. Il “Fiat!”, cioè il “Si” alla Volontà di Dio, unito all’amore del prossimo, è ciò che Maria ha rinnovato per tutta la vita e per ogni istante di essa. Ella senz’altro ricordava le Profezie ed in particolare quella di Isaia che parla del “servo sofferente”, prefigurazione di Gesù Cristo. Dunque, volontariamente e liberamente Ella ha aderito alla Volontà Divina che le avrebbe comportato da quel momento in poi una vita di dolore. Ancora una volta Ella ripete: «Eccomi sono la serva del Signore… » (Lc 1,38), disposta a fare tutto ciò che la Volontà Salvifica di Dio comanda. Per mezzo di Lei continua il disegno di Dio, che per Amore, gratuito, vuole salvare l’uomo. Dunque il dolore di Maria associato a quello di Gesù ci ha salvati. Come non ricorrere allora a Colei che ci ha salvati? Come non chiederle tutte le grazie di cui abbiamo bisogno per essere fedeli alla Divina Volontà? Come non rendere a Lei quell’omaggio che merita come Madre di Dio e Madre nostra?
Preghiamola dunque ed invochiamola sempre. Consacriamoci a Lei per essere completamente di Dio.
Quando la spada del dolore, qualunque esso sia, incomincerà ad entrare nel nostro cuore, sappiamo a chi ricorrere. Facciamoci insegnare da Lei adire sempre “si”. Amen!
“Consolatrice degli afflitti, prega per noi”.
LA NOTTE OSCURA DI GESÙ
Siamo liberi solo se uniti a Dio spiega il Papa Benedetto XVI
nella Messa della Cena del Signore
Alcuni riti di questo giorno raccontati con le immagini del Giovedì Santo biancavillese.
di Antonio Gaspari – Redazione SME
Nel Giovedì Santo in cui la Chiesa cattolica celebra l’istituzione della Santissima Eucaristia, il Pontefice Benedetto XVI ha spiegato che in questa giornata importante c’è anche “la notte oscura del Monte degli Ulivi”, in cui Gesù sperimenta “la solitudine e l’essere abbandonato”, va incontro al “buio della morte; c’è il tradimento di Giuda e l’arresto come anche il rinnegamento di Pietro, l’accusa davanti al Sinedrio e la consegna ai pagani, a Pilato”.
Nella omelia della Messa in Coena Domini, il Papa ha precisato che “Gesù entra nella notte, che significa mancanza di comunicazione, in cui non ci si vede l’un l’altro, simbolo della non-comprensione, dell’oscuramento della verità”, al fine di “superarla e inaugurare il nuovo giorno di Dio nella storia dell’umanità”
“Sul Monte degli Ulivi – ha sostenuto il Santo Padre – Gesù lotta con il Padre. Egli lotta con se stesso. E lotta per noi”. Sperimenta “l’angoscia di fronte al potere della morte”. Egli “allunga lo sguardo nelle notti del male. Vede la marea sporca di tutta la menzogna e di tutta l’infamia che gli viene incontro in quel calice che deve bere”.
Secondo Benedetto XVI “la lotta di Gesù sul Monte degli Ulivi è “un evento sacerdotale” perchè in quella preghiera di Gesù, pervasa da angoscia mortale, “il Signore compie l’ufficio del sacerdote: prende su di sé il peccato dell’umanità, tutti noi, e ci porta presso il Padre”.
Gesù dice: “Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). Gesù indietreggia spaventato davanti ad una cosa così immane. Chiede che ciò gli sia risparmiato. “Tuttavia, in quanto Figlio, depone questa volontà umana nella volontà del Padre: non io, ma tu”.
Il Pontefice ha sostenuto che in questo modo Gesù “ha trasformato l’atteggiamento di Adamo, il peccato primordiale dell’uomo, sanando in questo modo l’uomo”, perchè l’atteggiamento di Adamo era stato: “Non ciò che hai voluto tu, Dio; io stesso voglio essere dio. Questa superbia è la vera essenza del peccato”.
Dio appare come il contrario della nostra libertà, e le persone pensano che “dobbiamo liberarci da Lui” perché “solo allora saremmo liberi”.
“È questa – ha sottolineato Benedetto XVI – la ribellione fondamentale che pervade la storia e la menzogna di fondo che snatura la nostra vita. Quando l’uomo si mette contro Dio, si mette contro la propria verità e pertanto non diventa libero, ma alienato da se stesso”.
In realtà – ha rilevato il Papa – “Siamo liberi solo se siamo nella nostra verità, se siamo uniti a Dio” allora diventiamo veramente ‘come Dio’ – non opponendoci a Dio, non sbarazzandoci di Lui o negandoLo”.
“Nella lotta della preghiera sul Monte degli Ulivi – ha concluso il Pontefice – Gesù ha sciolto la falsa contraddizione tra obbedienza e libertà e aperto la via verso la libertà. Preghiamo il Signore di introdurci in questo ‘sì’ alla volontà di Dio, rendendoci così veramente liberi”.
Giovanni Paolo II e l'imprescindibile primato petrino
di Alessandro Scaccianoce
La sensazione che pervase tutti noi, all’annuncio della morte di Giovanni Paolo II, in quella sera del 2 aprile 2005, fu quella di sentirci più soli. Veniva a mancare il punto di riferimento dell’intera Chiesa Cattolica, il segno vero ed efficace della nostra unità. Non erano chiacchiere – mi resi conto – quelle sul ruolo di Pietro, sul suo primato nella carità. Che ne sarebbe stato della Chiesa? Per molti di noi si trattava del primo evento di questo tipo: la morte del Papa. Un uomo che aveva accompagnato tutta la nostra vita fino a quel momento. Era uno di famiglia. Come immaginarsi senza?
Quell’evento mi fece comprendere l’imprescindibile ruolo del successore di Pietro, che nessun altro organismo può rivestire o ricoprire. Non ci sono creazioni collegiali che possano sostituire il suo ruolo di custode della fede e di garante dell’unità della Chiesa, colui che conferma la fede di noi tutti. Non si tratta di nostalgie monarchiche, perché è nella parole di Gesù che trova fondamento il suo ruolo: “pasci le mie pecorelle!”. Non un primato politico, coercitivo o repressivo, ma un primato di servizio, che illumina, incoraggia e sostiene, rimandando continuamente al Signore.
Alla preghiera di suffragio per il grande dono ricevuto di Papa Giovanni Paolo II, si aggiungeva, pertanto, in quei giorni l’ansia per un successore che potesse ricoprire altrettanto degnamente il ruolo di “Vicario di Cristo”.
Lo Spirito Santo non ha abbandonato la Chiesa, con il dono di Papa Benedetto XVI, continuatore e perfezionatore dell’opera del suo predecessore. E mentre la gente, dopo il primo discorso del neo-eletto Pontefice, si affrettava a fare i primi paragoni, dalle differenze fisiche, agli aspetti caratteriali, il cuore si acquietava al pensiero di avere un nuovo Padre Santo. Il Signore aveva mantenuto fede alla sua promessa: “sono con voi tutti i giorni”. Giovanni Paolo II aveva concluso la sua esperienza terrena. Era il momento di riprendere in mano i suoi insegnamenti, troppe volte dimenticati da chi ne aveva fatto un simbolo di buonismo e di pacifismo, banalizzandone il carattere profetico e cercando di tenere in sordina i suoi richiami alla verità del Vangelo e alle esigenze morali che ne derivano. “Le porte degli inferi non prevarranno”, aveva detto Gesù a Pietro, precisando che sulla sua roccia si sarebbe fondata quella comunità di credenti che nasceva dal suo seno. Perché, se è vero che “dove due o tre sono riuniti nel suo nome” Cristo è in mezzo a loro, è anche vero che “ubi Petrus ibi Ecclesia” e – aggiungiamo in climax ascendente, con tutta la Tradizione vivente della Chiesa: “ubi Petrus ibi Christus, ubi Christus ibi Pax, ubi Christus ibi omnia”.