Il Mese di Maggio: primavera dell'anima

Redazione SME

“Ecco tornato il mese della nostra mamma del cielo” cosi’ scrisse una volta San Pio da Pietrelcina all’inizio del mese di maggio.
Da secoli il mese di maggio è dedicato per eccellenza alla devozione a Maria Santissima. E’ il mese piu’ bello dell’anno per lo splendore primaverile che lo riveste, e per questo consacrato a Colei che la Chiesa canta e loda come la “Tota pulchra” (Tutta bella).
E’ il mese in cui sbocciano fraganti le rose nel tepore della ridente natura, per questo viene consacrato a colei che la Chiesa invoca come “Rosa mystica” (Rosa mistica).

In passato, in molte città e paesini era diffusa l’abitudine dei bambini di portare fiori per l’altare della Madonna: “lumi, canti, preghiere e fioretti davano gioconda espressione alla devozione verso Maria Santissima, che ci appariva allora come la Regina della primavera, primavera della natura e primavera dell’anima” (Paolo VI).




Insieme con i fiori veri possiamo offrire ogni giorno alla Madonna anche i “fioretti”: regali spirituali, piccoli sacrifici o gesti di carità, che non solo Le dicono il nostro filiale affetto, ma anche il nostro desiderio di essere più intimamente legati a Lei, più che ad ogni altra cosa.

Ecco che cosa sono i “fioretti”: regali piccoli che vanno dritti al cuore della Madonna  e la fanno sorridere di gioia mentre ascolta e benedice i suoi devoti figli. Sono piccole cose, piccole offerte, ma che se fatte bene, ci ottengono molte grazie.




Anche per questo Maggio è chiamato anche il mese delle grazie e delle glorie di Maria, perché in questo mese si ricevono copiose grazie, celebrando le glorie della Madre e Regina universale. Anzi, soprattutto per i frutti spirituali che produce, il mese di maggio canta le più alte glorie di Maria corredentrice e mediatrice di ogni grazie.
Sono grazie di ogni sorta che Ella dona amorosamente a chi celebra questo mese. Grazie di progresso spirituale, di rinnovamento di vita, di conversione, grazie temporali per la salute, per il lavoro, per gli studi, per la sistemazione per la famiglia.




Quante grazie in questo mese benedetto!Tanto più che esso si chiude con la festa della Madonna delle Grazie (31 maggio, festa della Visitazione della Vergine Maria alla cugina S. Elisabetta) che infonde in noi la certezza di essere accompagnati dalla presenza amorevole materna e premusora della Madre del cielo. Chi di noi non ha bisogno di grazie?

San Massimiliano M. Kolbe, per aiutare il fratello travagliato da pericolose angustie spirituali e materiali non trovò rimedio più efficace che raccomandargli con premura di fare il Mese di Maggio, e gli mandò libretti utili a fargli seguire il mese mariano giorno per giorno.

Fare il mese di Maggio, quindi, è accumulare grazie, risolvere problemi o situazioni dolorose, ottenere il patrocinio della Divina Madre.
Ricorriamo alla Madonna ogni giorno di questo mese con la recita devota del Santo Rosario.




A Biancavilla  diverse tradizioni vanno a comporre un complesso mosaico devozionale che attraversa le chiese, le case e i cortili della città. Mentre, infatti, vengono allestiti tradizionali altarini in onore della Vergine Maria, ci si riunisce in casa per recitare comunitariamente il Santo Rosario.

Le parrocchie organizzano la “Peregrinatio Mariae” recando in processione tra le case e le famiglie un’immagine della Madonna attorno alla quale il quartiere di turno di si mobilita per onorare la visita della Madre celeste. Nei cortili e nelle viuzze si montano piccoli dosselli, apparati di stoffe preziose, veri e propri altari fioriti. Ai piedi di Maria si radunano le famiglie, il vicinato e tutta la gente che è possibile invitare. Non di rado la Madonna va via dalla casa ospite in un piccolo corteo dopo l’offerta di dolci e bevande.

Il 31 Maggio, a conclusione del Mese mariano, per antica tradizione, in Chiesa Madre si svolge la processione della venerata icona della Madonna dell’Elemosina portata a spalla dalle donne, in un’atmosfera di grande ed intensa dvozione e preghiera. Ed è il preludio della Grande Festa Estiva che si celebra a Biancavilla l’ultima domenica di Agosto.

Relazioni famigliari: l'Amore si impara

Riflessioni sui rapporti genitori-figli e marito-moglie: libri, teorie, studi. L’Amore si impara giorno dopo giorno.

di Alessandro D’Avenia

“L’amore non è cosa che s’impara, e tuttavia non c’è cosa che sia così necessario imparare”. Così scriveva Giovanni Paolo II in Varcare la soglia della Speranza. Queste parole mi sono tornate in mente quando un papà di una bimba di sei anni, qualche giorno fa, davanti ad una pizza, mi confidava di essere un padre che non sa mai cosa sia giusto fare. Quello sguardo e quelle parole mi hanno fatto riflettere.

Educare richiede una continua creatività e capacità di invenzione nella mutevolezza del reale, delle persone, delle situazioni, ma allo stesso tempo la necessità di conoscere – come si fa nel jazz – quegli accordi di base su cui costruire l’improvvisazione non improvvisata a cui costringe ogni “sessione”: quella conoscenza irrinunciabile della natura umana alla quale improntare le concrete scelte educative. Ci prepariamo tutta la vita per un lavoro e siamo convinti che occorra studiare e fare esperienza per diventare bravi professionisti, invece ci siamo illusi che l’amore si improvvisi e che non ci sia bisogno di studio e preparazione. Invece proprio l’amore richiede continue messe a punto a partire da qualcosa che rimane fermo: la volontà di amare.

Per questo quando affronto un colloquio con i genitori di uno studente chiedo spesso: Su cosa state puntando? Quale punto di forza avete notato? Quale punto debole è emerso?

Educare, che un modo di amare chi ci è in qualche modo affidato, richiede non solo affetto, ma anche e soprattutto studio, preparazione, riflessione. Non si può improvvisare del tutto, bisogna riflettere e preparare ricette adatte alla dieta della persona: cosa gli/le serve di più? Di cosa ha più bisogno per crescere in questo momento?

Ma a che serve studiare? A che serve riflettere sull’amore? A diventare in qualche modo profeti dell’altro. A sapere come e cosa guardare, così che l’altro intraveda il meglio di se stesso negli occhi di chi lo ama e vi tenda, superandosi in compagnia dell’amato.

A questo proposito voglio segnalare due libri sull’educazione e la famiglia. Credo che la famiglia sia la soluzione alla crisi della nostra società, crisi che emerge soprattutto in ambito educativo.

Il primo testo è “Papà sei tu il mio eroe” di Meg Meeker, nel quale l’autrice, una psichiatra di grande esperienza, afferma con chiarezza che la persona più importante per una figlia femmina è suo padre. L’autrice rivolgendosi direttamente ad un padre gli suggerisce:

“Non c’è bisogno di una laurea in psicologia per proteggerla e darle insegnamenti su Dio, sesso e umiltà. Significa semplicemente essere un papà. Non ho scelto a casaccio alcune caratteristiche proprie del papà: ho osservato e ascoltato le figlie per molti anni e ho sentito quello che dicono di te. Ho parlato con una miriade di padri. Ho letto testi di psichiatria, ricerche scientifiche, riviste di psicologia. L’ho fatto per lavoro. Ma ti dirò che nessun articolo, né alcun manuale di patologia, né alcuna istruzione, può iniziare a cambiare la vita di una ragazza tanto quanto lo faccia una chiacchierata con suo padre. Dal punto di vista di tua figlia non è mai troppo tardi per rafforzare la relazione con te. Quindi, fatti furbo. Tua figlia vuole i tuoi consigli e il tuo sostegno; ha voglia e bisogno di un legame intenso con te. E, come sanno tutti i bravi papà, sei tu ad aver bisogno di una relazione profonda con lei. Questo libro ti mostrerà come rafforzare questo legame oppure come ricostruirlo e come sfruttarlo per migliorare la vita di tua figlia e la tua”.

Il secondo libro è un vero e proprio gioiello per questi tempi in cui la famiglia è bersagliata invece di essere sostenuta e incoraggiata. Il titolo è “La coppia imperfetta” di Mariolina Ceriotti Migliarese, che spiega in poche, profonde e delicate pagine, perché i difetti sono un ingrediente indispensabile per l’amore. Vedo tanti ragazzi schiacciati dalla incapacità loro e dei loro genitori di accettare il fatto di avere difetti, di non essere perfetti. Una cultura che rimuove Dio non può permettersi il lusso della debolezza, e vuole che gli uomini siano dei. L’autrice, neuropsichiatra infantile e madre, afferma con chiarezza che la coppia ha tutte le risorse per reggere alle tempeste che tentano spazzare via la casa, le cui fondamenta sulla roccia sono la coppia stessa, paradossalmente con le annesse debolezze:

“Incontrare Dio andando in un monastero è una cosa abbastanza ovvia. Ma incontrare Dio andando verso Micheline, proprio quella che ha appena bruciato l’arrosto, ecco una cosa alquanto inesplicabile. La trovo una frase perfetta per sintetizzare quello che è il cuore della sfida che il matrimonio rappresenta: unire gli aspetti più pratici e prosaici della nostra vita con quelli più elevati e spirituali, all’interno della quotidianità”.

Magari nessuno dei consigli contenuti in queste pagine servirà al caso concreto in cui ci si trova, ma solo la riflessione può tradursi in amore in atto, perché l’amore pienamente umano non è solo affetto, ma anche pensiero.

Incontro Mondiale delle Famiglie: a Milano dal 30 maggio al 3 giugno 2012

Grandi preparativi per il VII Incontro Mondiale delle Famiglie a Milano che si terrà dal 30 maggio al 3 giugno e che vedrà la straordinaria presenza del Santo Padre Benedetto XVI per tre giorni nel capoluogo lombardo. Per maggiori info sull’evento: www.family2012.com

Redazione SME

Intervista a mons. Paolo Mancini, segretario generale del Vicariato di Roma e responsabile della Pastorale Familiare.

Mons. Mancini, quanto è importante questo appuntamento di Milano per le Famiglie e la Chiesa?

Il centro di tutto sarà l’incontro con il Pontefice (che sarà presente dal 1° al 3 giugno, ndr). Ma ci saranno tante possibilità di approfondimento dei temi fondamentali riguardanti la famiglia. Questo crea, da parte nostra, una grande aspettativa, soprattutto di confronto e crescita con i rappresentanti della Pastorale Familiare di tutto il mondo. Avremo, infatti, occasione per ricevere spunti per impostare la nostra pastorale, che è da sempre un punto di riferimento, oltre che un grande desiderio del Santo Padre, il quale torna continuamente a parlare della famiglia come elemento essenziale della società e della Chiesa.

Certamente sarà un’occasione per approfondire alcuni argomenti fondamentali riguardanti la famiglia. Due, in particolare, sono stati scelti come slogan dell’incontro: il lavoro e la festa. Due temi che sembrano quasi una dicotomia…

È vero, apparentemente il lavoro e la festa risultano essere una contraddizione. Questo è un problema della nostra cultura: prima si dedicava molto più tempo a stare insieme con la propria famiglia, a vivere, cioè, un tempo separato dal lavoro. Adesso, con questi orari flessibili non c’è più un vero distacco tra lavoro e “festa”, intesa come il riposo, come lo stare insieme ai propri familiari e questo provoca anche una perdita della propria identità personale. Si può dire che non riusciamo a vivere bene il lavoro, forse perché non sappiamo vivere la festa.

Qual è il messaggio che si vuole dare puntando l’attenzione sul lavoro e sulla festa?

A mio avviso la scelta di questi due temi vuole far in modo che la famiglia recuperi il “senso del tempo”. La famiglia oggi non sa più gestire il lavoro, perché non ha orari, né la festa. Spesso oggi la famiglia non riesce a trovare neanche il momento di gioire nello stare insieme.

Quindi come vivere il tempo? Innanzitutto garantendosi la possibilità di fermarsi per vivere e godersi la propria famiglia, valorizzando il momento dello stare insieme come occasione di gioia, senza naturalmente tralasciare o sottovalutare i diversi impegni.

E le persone hanno questo desiderio di vivere insieme, con la propria famiglia e con le altre, un attimo di felicità, di comunione, di festa attraverso questo tipo di incontri: lo dimostrano le migliaia di persone che sono sempre accorse.

Il cardinale Scola, infatti, ha recentemente affermato che, nonostante la crisi e gli attacchi, “si ha ancora voglia di famiglia”…

È assolutamente vero! Io questo l’ho vissuto molto quando, da parroco, preparavo le coppie al matrimonio e toccavo con mano il loro desiderio di stabilità, di amore, affetto. Erano coppie che venivano da cammini differenti alle spalle, alcuni anche di lontananza dalla Chiesa. Dentro al loro cuore, però, c’era la volontà di instaurare qualcosa che fosse un punto di riferimento, di stabilire relazioni durature. Purtroppo si parla molto di crisi della famiglia, di separazione e divorzio, e si mette a tacere la buona notizia di tante persone che vogliono fare sul serio la loro scelta di vita.

E il VII Incontro Mondiale può essere, quindi, una spinta in questa direzione?

Certo, soprattutto perché vuole sottolineare come la Chiesa è attenta alla famiglia e a tutte le questioni che la riguardano, con particolare attenzione al ruolo che essa riveste nella società e nella Chiesa stessa.

Non dimentichiamo, infatti, che i primi catechisti sono i genitori. Fino a 50-60 anni fa, quando ancora non era stato organizzato un catechismo per i sacramenti, le nuove generazioni si formavano proprio attraverso la preghiera vissuta in famiglia. È un fattore importante questo, che purtroppo ora si è un po’ perduto, perché sembra che, proprio per le innumerevoli attività che vivono, le famiglie demandino ad altri la formazione della fede: questo non è possibile!

Questo evento, allora, può aiutare a capire come sia necessario far crescere all’interno della famiglia stessa dei testimoni che possano comunicare, con la vita e le parole, la bellezza di essere cristiani.

Qui l’inno ufficiale delle Giornate “La Tua famiglia Ti rende grazie”:

http://www.youtube.com/watch?v=Dwo3rZzCMBM

Il Card. Scola: l’Italia ha voglia di famiglia

Di seguito un’intervista al Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano. Il cristiano deve promuovere il valore e la bellezza della famiglia, contro le tentazioni relativiste. E occorre recuperare il tempo perchè la famiglia si ritrovi insieme. Uno sguardo lucido e profondo, quello del Cardinale, sui temi caldi della nostra attualità: dal posto fisso, alle unioni di fatto, all’apertura domenicale dei negozi. Da leggere e rileggere!

«C’è ancora tanta voglia di famiglia. Niente è perduto, siamo nel tempo delle grandi scelte». Spiazza ancora una volta il cardinale Angelo Scola! E lo fa, stavolta, sui temi a lui cari del matrimonio e dell’unione familiare. All’arcivescovo di Milano, che è anche membro del Comitato di presidenza del Pontificio consiglio per la famiglia e già preside del Pontificio istituto Giovanni Paolo II per lo studio su matrimonio e famiglia, nonché autore di vari saggi sul tema, la categoria di “crisi”, in questo caso, non piace, perché non spiega tutto, anzi talvolta può perfino forviare. Così mette la sordina alle tante Cassandre che hanno già cantato il De profundis per la famiglia, ricordando che già alcuni decenni fa c’era chi teorizzava, con la “morte del padre”, la fine di quest’istituzione ritenuta ormai fuori moda.

Eminenza, lei ama dire che «non è mai vero che tutto va male». Ma sostenere che, nonostante le difficoltà presenti, ci sia “voglia di famiglia” potrebbe, a prima vista, sembrare temerario. Non le pare?
«Non sono io a dirlo, lo dicono i numeri della quarta indagine European Values Studies sui valori in cui credono gli europei che evidenzia che la famiglia è ritenuta importantissima dall’84 per cento degli europei e dal 91 per cento degli italiani. In 46 Paesi su 47 viene messa al primo posto, precedendo aspetti centrali del vivere sociale come il lavoro, le relazioni amicali, la religione e la politica. A partire da questi dati, non ci è consentito parlare in termini assoluti di crisi della famiglia; dobbiamo piuttosto chiederci da dove deriva il travaglio che la sta attraversando».

Che ipotesi si possono fare?
«Mi pare che uno dei fattori più determinanti di questo disagio sia il modo in cui viene pensata e praticata la relazione di coppia, il rapporto uomo-donna. Molto è cambiato in quest’ambito negli ultimi decenni. Basti pensare alla cosiddetta “rivoluzione sessuale”, alla prassi della contraccezione e al cammino che ha portato all’emancipazione femminile. Persino la “differenza sessuale”, che è una dimensione intrinseca all’io, è stata messa in discussione. Come sempre capita quando si verificano fenomeni di forte e rapida mutazione, l’assestamento crea disagi, chiede tempo. Solo oggi, in certi ambiti del femminismo, si incomincia ad affrontare la questione in termini innovativi, proprio a partire dall’insuperabilità della “differenza sessuale”. Questo ripensamento potrebbe essere il punto di partenza per affrontare le contraddizioni e le “anomalie” che oggi si sono create nel rapporto uomo-donna e che, a mio avviso, stanno anche alla base del travaglio della famiglia. Intendiamoci: sto parlando di difficoltà che occuperanno i prossimi decenni, legate al grande smarrimento antropologico di questo inizio di millennio».

Non si tratta allora di una crisi irreversibile, ma di un disagio forte che preannuncia qualcosa di nuovo. Per dirla con il filosofo Massimo Cacciari, «si vive in una società che potrà dar vita ad aperture imprevedibili, a opportunità positive, o a catastrofi»?
«L’uomo del terzo millennio è esposto a una sorta di scommessa. Pervaso e travolto dal moltiplicarsi di fenomeni inediti come la globalizzazione, la civiltà della Rete, il progresso delle neuroscienze e delle biotecnologie, il meticciato delle culture, è chiamato a scegliere, e non può non farlo, che cosa vuole essere: un io in relazione, oppure, come sostiene qualcuno, il puro esperimento di sé stesso? La partita decisiva si gioca qui».

Da sempre la Chiesa ha proposto la “convenienza” e la bellezza del matrimonio cristiano, ma mai come oggi l’istituzione matrimonio è in crisi. Lo dicono i dati su separazioni e divorzi. Che fare, allora?
«Dovremmo essere tutti invitati e nobilmente provocati a riconoscere un fatto: la famiglia è “un universale sociale e culturale”. Un autorevolissimo antropologo, certamente non sospetto di cattolicesimo, come Claude Lévi-Strauss affermava che “un’unione socialmente approvata tra un uomo e una donna e i loro figli è un fenomeno universale presente in ogni e qualunque tipo di società”. A questo “universale” si addice propriamente il nome di famiglia: altre forme di convivenza potranno ricevere altri nomi, ma non si possono chiamare famiglia. Come in modo insuperabile ci ha ricordato la Redemptor hominis, il cristianesimo è il giocarsi di Dio con la nostra storia per svelare pienamente l’uomo all’uomo. Allora il sacramento del matrimonio è la realizzazione piena e “con-veniente” di questo “universale sociale”, per utilizzare l’azzeccata definizione dell’antropologo francese. In una società plurale come la nostra, i cristiani sono chiamati a documentare questa convenienza con la loro testimonianza compiuta. Ciò implica, tra l’altro, una capacità di abbracciare le famiglie ferite per condividere la loro prova».

Nel frattempo la politica detta i cambiamenti e le nuove regole anche rispetto al matrimonio e al suo eventuale scioglimento. Il nostro Parlamento, proprio in questi giorni, sta discutendo sul cosiddetto “divorzio breve”, che il Governo Zapatero, in Spagna, ha già approvato nel 2005…
«Mi sembra un passo decisamente sbagliato. “È dalla pazienza che si misura l’amore”, dice il poeta Milosz. Normalmente un matrimonio domanda ai coniugi molto coinvolgimento reciproco e tempo di preparazione. Quando va in crisi, pensare di eliminare il problema sbarazzandosene il prima possibile è, oltre che un’illusione, una mancanza di responsabilità verso sé stessi e, spesso, verso i figli. Seppellire frettolosamente una relazione, per quanto dolorosa possa essere, non è una buona premessa per costruire il futuro. Su questa delicatissima materia voglio aggiungere una considerazione: ogni istituzione deve attenersi rigorosamente a ciò che le compete e a ciò che è effettivamente in suo potere. Lo Stato, come istituzione, deve registrare l’orientamento prevalente che si manifesta all’interno della società civile. È questa, per esempio, la tesi di Habermas. Insomma, lo Stato non è chiamato a gestire la società civile, ma a governarla. Si tratta di una distinzione fondamentale, che viene troppo spesso dimenticata, con il grave rischio di imporre alla società scelte ideologiche».

Lo stesso discorso può valere anche nei confronti del “registro delle coppie di fatto”, già istituito in alcuni Comuni…
«Sì, ovviamente. Generare e riconoscere veri e propri diritti soggettivi non è oggetto proprio di provvedimenti amministrativi: questo è il compito del potere legislativo. Mi pare che operazioni di questo tipo possiedano una preoccupante connotazione ideologica che, nel caso in questione, contraddice la stessa Costituzione italiana, che all’articolo 29 afferma: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Viviamo in una società plurale, e ci confrontiamo con “mondovisioni” diverse, ma proprio per questo siamo chiamati tutti, come cittadini, a proporre il bene comune circa le questioni fondamentali del vivere. Così i cristiani, e anche molti non credenti, pienamente convinti della forza dell’“universale sociale” che è la famiglia, propongono a tutti questo dato e, in ogni caso, sostengono la necessità di chiamare ogni cosa con il proprio nome. Il nome famiglia non si addice ad altre forme di convivenza. Ostinarsi a utilizzarlo confonde e finisce con lo svuotare i preziosi fattori costitutivi della vera famiglia».

Nota forse un timore, un deficit di testimonianza in questo senso?
«Sì, anche tra i cristiani, in nome di un frainteso concetto di libertà, si accetta una posizione neutrale. Si dice: io tengo alla famiglia, ma lascio liberi gli altri di agire come meglio credono. Questo atteggiamento è la morte del dinamismo sociale. Infatti, più la società è plurale, più ho il dovere di proporre, sottolineo “proporre”, ciò che reputo decisivo per la vita buona – in questo caso il matrimonio e la famiglia – in vista di un confronto appassionato e di un possibile reciproco riconoscimento. A noi è chiesto di proporre il bene della famiglia e del matrimonio».

Da tempo i cattolici denunciano l’insufficienza di politiche di sostegno alla famiglia. Cambiano i Governi, ma il risultato è lo stesso. Perché in Italia è così difficile promuovere politiche sociali pro-famiglia?
«L’assenza di politiche sociali e culturali in favore del bene prezioso della famiglia è grave tanto quanto l’impegno disatteso nei confronti della libertà dell’educazione. Sono due grossi handicap che l’Italia si trascina da tempo».

E ora con la crisi dell’economia tutto è ancora più difficile…
«Certo. Ma una volta di più la famiglia sta dimostrando la centralità del suo ruolo sociale e anche economico, fungendo da ammortizzatore rispetto alla crisi in atto. Moltissime famiglie stanno affrontando con estrema dignità, e anche con maggiori sacrifici rispetto al passato, la grave situazione della mancanza di lavoro. C’è un senso di responsabilità nel nostro Paese che più in generale denota, contrariamente a quanto vanno dicendo alcuni, la grande nobiltà della nostra società civile. Per capacità di costruire relazioni, partecipazione e solidarietà, lo dico senza timore di essere smentito, siamo i primi d’Europa».

Una certezza di giudizio che proviene anche dall’esperienza pastorale?
«È così. Nella diocesi di Milano, come già mi era capitato a Venezia durante la Visita pastorale, incontro comunità con una grande vitalità che nasce dal basso, una straordinaria passione di donare tempo ed energie per gli altri. Un ricordo, per tutti: nella cittadina di Caorle, che in inverno ha sì e no 5 mila abitanti, si contano 70 diverse associazioni di volontariato. Certo, spesso una simile vitalità sociale coesiste con gli egoismi e le resistenze, per esempio, nei confronti del fenomeno degli immigrati che bussano alle nostre porte, ma c’è una ricchezza che la politica non ha ancora saputo interpretare».

La perdita del lavoro e la disoccupazione giovanile minano pesantemente la stabilità delle famiglie italiane. Quanto pesa la crisi nella paura di fare famiglia oggi?
«Sarebbe facile e demagogico rilevare solo questo dato, peraltro dolorosissimo. Penso che si debbano anche comprendere fino in fondo le trasformazioni radicali in atto nel mondo del lavoro, che ne intaccano la sua stessa concezione».

Allude alla fine del cosiddetto posto fisso?
«Anche. È fuori dubbio che la precarietà lavorativa sia distruttiva, e che la mancanza di prospettive incida sulla volontà di un giovane di fare famiglia, spingendolo a forme più precarie e disimpegnate di convivenza. Però l’idea del posto fisso com’era inteso dai nostri genitori, o dalla mia generazione, non esiste più. Oggi si deve parlare di “percorsi lavorativi”. In questa situazione occorre ripensare le garanzie di accompagnamento, riformare il sistema educativo prendendo sul serio un piano di scuola professionale. Si può fare l’idraulico o il costruttore di sedie in modo culturalmente avanzato e creativo. Invece che sfornare solo “dottori” a basso prezzo, l’Italia dovrebbe pensare a percorsi di istruzione professionale collegati all’Università, come si fa in tanti altri Paesi europei».

Il Governo intende rilanciare l’economia con le liberalizzazioni. Una di queste riguarda gli orari dei negozi: non sarà la fine del riposo in famiglia e del concetto di festa?
«Partirei dalla triade saggiamente proposta nel titolo del VII Incontro mondiale delle famiglie: affetti, lavoro, festa-riposo. L’io ha bisogno di fare un’esperienza di unità per poter stringere buone relazioni. L’equilibrio psichico di una persona che affronta le fatiche del lavoro ha bisogno di vivere gli affetti e la dimensione gratuita del riposo, che ha nella festa il suo culmine. È il cosiddetto “tempo vibrato”, come lo definiva Roland Barthes, richiamandosi al benedettino “Ora et labora”. Disgregare questi tre fattori espone la società al rischio di situazioni patologiche. Se il padre riposa la domenica, la madre il lunedì e il figlio il giovedì, non avranno la possibilità di ritrovarsi insieme. Viene a mancare la dimensione del tempo condiviso, che è tempo per la relazione con Dio e con gli altri. Creando condizioni per cui il riposo festivo diventa individualistico, frammentato, abolendo di fatto il senso della domenica, noi annulliamo l’efficacia stessa del riposo. Perciò, senza demonizzare i grandi centri commerciali, mi chiedo: serve davvero trasformare la domenica in giorno feriale? Ne guadagneremo qualcosa? ».

tratto dal sito: www.angeloscola.it

 

La lettera del Card. Scola a tutti i fedeli, in preparazione alla Giornata Mondiale delle Famiglie, sul significato della visita del Papa e del suo ministero petrino.

Carissimi,

nell’imminenza del VII Incontro Mondiale delle Famiglie voglio rivolgermi a ciascuno di Voi per richiamare ancora una volta il significato di questo decisivo evento ecclesiale.

Nel contesto sociale e culturale attuale, l’Incontro Mondiale delle Famiglie è per le nostre comunità e per tutti noi un’occasione unica e preziosa per riconoscere e rendere una chiara testimonianza del valore ecclesiale e sociale della famiglia.

La famiglia è la via maestra e la prima, insostituibile “scuola” di comunione, la cui legge è il dono totale di sé. I cristiani, proponendola in tutta la sua bellezza, al di là delle loro fragilità, intendono testimoniare agli uomini e alle donne del nostro tempo, qualunque sia la loro visione della vita, che l’oggettivo desiderio di infinito che sta al cuore di ogni esperienza di amore si può realizzare. La famiglia così concepita è un patrimonio prezioso per l’intera società.

La presenza del Santo Padre tra noi, presenza che egli ha voluto personalmente rendere particolarmente prolungata e intensa, è una chiara espressione di attenzione e affetto perla nostra Diocesi e per tutta la società civile della città e del territorio. Saranno diversi gli eventi che egli vivrà qui a Milano prima della Festa delle Testimonianze e della grande Santa Messa di domenica mattina: il saluto alla città in Piazza Duomo venerdì 1 giugno pomeriggio; il concerto alla Scala con le autorità civili e con le delegazioni delle Conferenze Episcopali del mondo presenti all’incontro mondiale la sera dello stesso giorno; la celebrazione, in Duomo, dell’Ora media con i sacerdoti, i religiosi e le religiose e l’incontro con i cresimandi allo stadio Meazza del giorno 2.

Vi esorto ad accogliere Benedetto XVI come il successore di Pietro, riscoprendo il senso autentico del ministero del Papa nella Chiesa di Dio: il Papa viene a noi «per confermare la nostra fede» (cf. Lc 22,32). Questo è il suo ministero proprio. Come ricordai all’inizio dell’Anno Pastorale, la Chiesa particolare non esisterebbe in forma piena senza questo riferimento diretto ed immediato alla figura di Pietro. La Sua presenza fisica sarà straordinaria perché sarà espressione privilegiata della sua presenza ordinaria.

Per rispondere a questo grande dono di Benedetto XVI è importante che ciascuno di noi intervenga di persona soprattutto partecipando alla celebrazione dell’Eucaristia del 3 giugno presso l’aeroporto di Bresso, dove il Santo Padre concluderà il VII Incontro Mondiale delle Famiglie.

Dal punto di vista operativo chiedo a tutte le comunità cristiane della Diocesi:

–        che in tutto il territorio della Diocesi non siano celebrate Sante Messe nella mattinata del 3 giugno. Per i fedeli impossibilitati a prendere parte di persona all’Eucaristia presieduta dal Santo Padre, si celebrino altre Sante Messe oltre quelle abituali nei pomeriggi del sabato 2 e della domenica 3;

–        che si intensifichi la preghiera personale e comunitaria, soprattutto attraverso il Santo Rosario, perché il VII Incontro Mondiale delle Famiglie dia i frutti sperati;

–        che due rappresentanti di ogni parrocchia e aggregazione di fedeli partecipino al Congresso Teologico-Pastorale che si svolgerà nei giorni 30 maggio-1 giugno, in modo da poter comunicare, nei dovuti modi, a tutti i membri della loro comunità il ricco contributo di riflessione e testimonianza che emergerà da questo Convegno internazionale.

Voglio, infine, cogliere l’occasione di questa mia lettera per ringraziare tutti coloro, e sono assai numerosi, che sostengono personalmente l’Incontro Mondiale e che, con intelligenza e generosità, lo stanno rendendo possibile. Mi riferisco in particolare ai membri e ai collaboratori della Fondazione Milano Family 2012, alle parrocchie e alle aggregazioni dei fedeli, e a tutti coloro che si sono resi disponibili nelle diverse forme di volontariato.

Con vivo affetto vi benedico nel Signore

+ Angelo card. Scola, Arcivescovo

 

 

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