Rosario benedetto di Maria
Nel giorno che ricorda l’apparizione della Vergine Madre a Fatima, una meditazione del fondatore dei Francescani dell’Immacolata sulla forza della recita del Santo Rosario.
di Padre Stefano Maria Manelli,
Frate Francescano dell’Immacolata
“O santa corona del Rosario!”. Questa invocazione alla corona del Rosario viene spontanea quando noi vediamo la corona fra le mani della Regina del Rosario a Pompei, fra le mani dell’Immacolata a Lourdes, fra le mani del Cuore Immacolato a Fatima.
Quanto deve essere preziosa questa corona del Rosario se la Madonna stessa la tiene fra le sue mani di Regina del cielo e della terra, se da Lei tessa, in persona, ci è stata presentata a Lourdes, e ci è stata raccomandata con insistenza materna a Fatima!
Da san Domenico in poi, del resto, la corona del Rosario è stata fra le mani di schiere di Santi e di Papi, di mistici e di missionari, di statisti e di artisti, di scienziati e di eroi, di uomini e di donne, di vecchi e di bambini, in ogni tempo e in ogni parte della terra.
Ricordiamo, ad esempio, san Francesco di Sales, santa Margherita Maria Alacoque, sant’Alfonso de’ Liguori, santa Bernardetta Soubirous, san Pio X, santa Maria Goretti, san Pio da Pietrelcina, la beata Teresa di Calcutta… Possiamo ricordare anche gli scienziati Galileo Galilei, Ampère, Pasteur, Marconi; i musicisti Vivaldi, Gluck; i pittori Michelangelo e beato Angelico; i pensatori e letterati, Rosmini e Manzoni…
“O santa corona del Rosario!”.
La corona del Rosario è “santa” perché produce cose sante, ottiene grazie, attira molte benedizioni, non soltanto su chi recita la corona, ma anche sulla casa, sulla famiglia e sul lavoro di chi la recita.
La corona del Rosario è “santa” perché apre le finestre su venti misteri della vita di Gesù e di Maria, con l’esercizio della contemplazione e dell’amore che conducono l’anima alle vette della santificazione.
La corona del Rosario è stata anche chiamata e definita in più modi: corona di grazie, roseto di grazie, catena di grazie, scrigno di grazie, sorgente di grazie…
San Pio da Pietrelcina, in particolare, amava dire che la corona del Rosario è anche l’arma per ogni battaglia spirituale e temporale, l’arma vincente contro ogni nemico, l’arma di tutte le vittorie (come Lepanto ci ricorda), per cui la Madonna del Rosario è stata anche chiamata “Nostra Signora delle vittorie!”, molto cara a santa Teresina.
Il beato Bartolo Longo, infine, ci augura di morire con la santa corona fra le mani, dando ad essa “l’ultimo bacio della vita che si spegne”, per presentarci al giudizio di Dio con l’anima ravvolta dalla “santa corona del Rosario”.
Meditazioni sulle litanie lauretane: "Mater purissima"
di P. Stefano Maria Pio Manelli FI
La temperanza è la virtù cardinale che assicura il dominio della volontà sugli istinti e fa servire Dio nell’amore di chi Gli appartiene.
La temperanza modera l’inclinazione al piacere sensibile, soprattutto ai diletti del gusto e del tatto, contenendola nei limiti della retta ragione illuminata dalla grazia. In particolare, il piacere del gusto è moderato dalla sobrietà e quello del tatto dalla modestia e dalla castità. Tanto l’una che l’altra brillarono in maniera fulgidissima in Maria Santissima, quantunque Ella, non avendo contratto il peccato originale, non sperimentasse in sé quell’inclinazione ai diletti sensibili che è la triste conseguenza del primo peccato.
San Luca nota che nel recarsi a visitare santa Elisabetta, la Vergine «andò in fretta»: per essere meno veduta in pubblico. In quanto poi al cibo, san Gregorio di Tours attesta che ella digiunò in tutta la sua vita e san Bonaventura afferma che Maria «non avrebbe mai ricevuto tanta grazia se non fosse stata molto moderata nel cibo; infatti non si conciliano la grazia e la gola». «La graziosissima Vergine Maria, – scrive Corrado di Sassonia – fu come un paradiso di benedizioni; come infatti nel paradiso materiale la gola di Eva meritò le maledizioni delle pene, così nel paradiso spirituale la temperanza di Maria meritò le benedizioni delle grazie. Onde Agostino dice “La maledizione di Eva si cambia nella benedizione di Maria”. Come poi la gola di Eva incorse nella maledizione non solo nell’anima ma anche nel corpo, non solo nella maledizione spirituale ma anche nella corporale, così la temperanza di Maria ottenne la benedizione e nell’anima e nel corpo, non solo la benedizione spirituale ma anche corporale. Poiché la maledizione di Eva golosa fu partorire con dolore, la benedizione di Maria temperante fu partorire senza dolore».
Le sue passioni, al contrario di quanto accade in noi poveri figli d’Adamo corrotti dal peccato, anziché opporsi alla ragione, erano sempre pronte ad eseguirne gli ordini in una pace perfetta. Ella rifulse nella modestia degli occhi, nella compostezza della persona, nel candore dei pensieri, nella verecondia dei discorsi, nella purità delle azioni, che praticò in tutta la sua vita.
Si sa bene che la forma più sublime della virtù della temperanza è la verginità perfetta, ed essa si manifestò in Maria Santissima nella sua angelica purezza, che le assicurava il predominio universale dell’anima sul corpo, e quello delle facoltà superiori sulla sensibilità, in modo che Ella era sempre più spiritualizzata: l’immagine di Dio risplendeva in Lei come in uno specchio purissimo, senza imperfezione alcuna.
Questa virtù, che abbiamo appena contemplato nella Vergine Santissima, è una delle più importanti che ogni cristiano deve praticare con sforzo e generosità, non distogliendo mai lo sguardo dalla Vergine Maria, quale suo sublime modello. Non è forse davanti agli occhi di tutti la terribile sregolatezza che regna nel mondo di oggi? Con la virtù della temperanza l’uomo vive secondo la ragione e opera in virtù di tale razionalità, ma, al contrario, quando segue i propri istinti e le proprie passioni, quando vien meno questa virtù, egli appare più un animale che un uomo.
Il mangiare e il bere, ad esempio, sono necessità della nostra povera natura e dovrebbero servire all’uomo per sostentarsi e poter così operare, ma, purtroppo, al giorno d’oggi pare più che si viva per mangiare e non che si mangi per vivere! Quanti uomini si perdono dietro alla soddisfazione del gusto, con squisitezze e raffinatezze, ed esagerano nella quantità in maniera sregolata! Se poi si considera l’immoralità dei costumi dei nostri tempi, con la messa al bando del pudore, della modestia o anche della semplice compostezza non si può far altro che pregare incessantemente e implorare la Vergine Santissima che illumini tanti cuori imprigionati nelle nefandezze della carne e li aiuti a perdere quelle tristi abitudini che rendono l’uomo tanto simile agli animali.
Il Card. Scola: Maria, il suo amore materno e la sua gioia
Redazione SME
Come a Lourdes, ieri sera nel Duomo di Milano migliaia di fedeli, anche tramite internet e tv, hanno pregato il Santo Rosario, guidato dal Card. Scola, che ha personalmente voluto tale iniziativa in preparazione al VII Incontro Mondiale delle Famiglie (1-3 giugno 2012), per affidare alla Madonna tutte le famiglie cristiane che vivono la loro fedeltà all’amore conigale, all’educazione dei figli e alla cura intergenerazionale. Nella sua preghiera in ginocchio davanti alla Madonna dell’Idea il Card. ha posto tutte le famiglie, con le loro gioie e le loro difficoltà, in un evento che non ha precedenti nella Chiesa di Milano. Di seguito il testo della meditazione del Card. Scola, che ha ampiamente richiamato il magistero di Papa Benedetto XVI.
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1. Il santo Rosario: immedesimarsi nei Misteri cristiani
Siamo convenuti davanti alla Vergine, in questo mese a Lei dedicato, con tutta la nostra umanità (e quella di tutti i fratelli uomini) bisognosa e gemente, spesso smarrita e tentata di lasciarsi cadere le braccia. Eppure indomabile nella speranza, come ci hanno detto le commoventi parole dell’Alma Redemptoris Mater, scritte mille anni fa da Ermanno lo Storpio e messe in musica da Palestrina: «Succurre cadenti, surgere qui curat, populo: Soccorri il tuo popolo, così incline a cadere e allo stesso tempo desideroso di risorgere». Col santo Rosario, questa sera, abbiamo percorso un cammino insieme a Maria. Lo abbiamo compiuto contemplando i Misteri della vita pubblica di Gesù, «luce del mondo» (Gv 8,12) (I Mistero). Di questo itinerario, scandito dal Padre Nostro e dalle Ave Maria, vorrei fissare due tratti che brillano nell’umanità immacolata della Vergine: il suo amore materno e la sua gioia. Immedesimandoci con essi, saremo condotti alla sorgente stessa della Luce che è venuta ad illuminare il mondo (cf Gv 1,9). Quale miglior preparazione all’ormai vicinissimo VII Incontro Mondiale delle Famiglie, impreziosito dalla straordinaria presenza di Benedetto XVI? Nel commento al III Mistero, l’Annuncio del Regno di Dio e l’invito alla conversione, è stato citato un folgorante passaggio della Deus caritas est in cui si parla della Madonna: «Maria nella Parola di Dio è veramente a casa sua, ne esce e vi rientra con naturalezza. Ella parla e pensa con la Parola di Dio; la Parola di Dio diventa parola sua, e la sua parola nasce dalla Parola di Dio». Viene qui indicato l’atteggiamento della immedesimazione con cui dobbiamo accostarci, con fedele regolarità, all’Eucaristia e alla Parola di Dio che la illumina. E la “ripetizione” esigita dalla fedeltà lungi dall’essere fonte di noiosa abitudine è esaltazione della nostra libertà di creature finite. Solo progressivamente, in un movimento a spirale, possiamo penetrare un poco i santi Misteri. La preghiera semplice e profonda del santo Rosario, col suo ritmo insistito, ci educa a questa immedesimazione. Raccomando la pratica del Rosario quotidiano. Recitiamolo anche a frammenti mentre andiamo al lavoro, o una decina insieme in famiglia o prima di dormire. Partecipiamo alla recita comunitaria del santo Rosario che si svolge tutti i giorni nelle nostre parrocchie e comunità.
2. L’amore materno di Maria
«Maria è madre perché ha generato nella carne Gesù; lo è perché ha aderito totalmente alla volontà del Padre». Così il Papa nel commento alla Trasfigurazione (IV Mistero) ci ha spiegato l’origine umana della divina maternità della Vergine. E Péguy, con la semplicità e l’immediatezza del linguaggio poetico, ce lo ripete: «[Maria, la Madre], Colei che è con noi perché il Signore è con lei». Maria è Madre in quanto riconosce, accetta e fa spazio nella sua vita al Padre, allo Spirito e al Figlio. Una eco di questa parentela singolare vive all’interno della famiglia umana nel rapporto dello sposo con la sposa e in quello tra genitori e figli. «Con il mite coraggio del suo “sì”, la Vergine ci ha liberati non da un nemico terreno, ma dall’antico avversario, – abbiamo ascoltato ancora nel commento di Benedetto XVI al Battesimo di Gesù (I Mistero) – dando un corpo umano a Colui che gli avrebbe schiacciato la testa una volta per sempre». Dalla fede di Maria ha avuto inizio la nostra liberazione (salvezza). Il “mite coraggio del sì” al disegno provvidenziale di Dio. La storia e il presente del nostro popolo documentano in tantissime donne, madri e spose, in tantissimi uomini, padri e sposi, in figli e figlie, in tantissime famiglie, cosa significhi questo “mite coraggio del sì”. È un sì, che esprime la fede e l’umanità compiuta del credente. Un sì alla vita, attraverso la generazione e l’educazione dei figli, anche responsabilmente numerosi; un sì al lavoro e all’impegno quotidiano per edificare la propria dimora e la città di tutti; un sì gratuito alla condivisione dei bisogni, a partire da quelli più radicali, facendosi carico delle istanze di giustizia e inverandole nella carità. Mi permetto ricordare che tutti dobbiamo partecipare alla seconda fase del Fondo Famiglia/Lavoro. Un carattere dell’amore materno di Maria, particolarmente urgente per il nostro tempo, è la sua assoluta gratuità. Maria nulla pretende per sé, non afferma la sua volontà, ma sempre quella di un Altro, di Lui si fida e a Lui si affida: così papa Benedetto ha commentato il miracolo di Cana (II Mistero). «Maria rimette tutto al giudizio del Signore… Questo è il suo permanente atteggiamento di fondo. E così ci insegna a pregare: non voler affermare di fronte a Dio la nostra volontà e i nostri desideri, per quanto importanti, per quanto ragionevoli possano apparirci, ma portarli davanti a Lui e lasciare a Lui di decidere ciò che intende fare. … dandogli fiducia nella convinzione che la sua risposta, qualunque essa sia, sarà il nostro, il mio vero bene». Nell’umile, quotidiana preghiera di domanda mettiamo ai piedi del Signore, con l’intercessione di Maria, gioie, dolori, pene, bisogno, desideri… ma lasciamo decidere a Lui ciò che intende fare.
3. «Causa nostrae laetitiae»
La Chiesa ci insegna ad invocare Maria come Causa nostrae laetitiae. In questo tempo pasquale, in particolare, preghiamo scandendo la giornata con il Laetare e i ripetuti alleluia del Regina coeli. In Maria vogliamo, questa sera, scoprire la sorgente della gioia piena. Essa nasce dal dono totale di sé. La gioia emana dal cuore dell’uomo come profumo dell’amore vero. I cristiani ne hanno fatto precisa esperienza fin dai primi tempi, come ricorda san Paolo agli anziani di Efeso citando una parola di Gesù non riportata nei Vangeli: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35). Ed è proprio così, perché il dono di sé compie fino in fondo la persona. Un dono di sé che non teme di giungere fino al sacrificio. Chiunque ama sul serio lo sa bene: il sacrificio è una “necessità strana” perché appartiene all’amore. Istintivamente chi ama vorrebbe evitare ogni prova all’amato e vorrebbe egli stesso stare sempre nella luce senza ombre dell’amore. Invece la legge del sacrificio è ineludibile: inganna chi sostiene il contrario, convincendo i nostri giovani che il desiderio sia incompatibile con il compito, che volere si opponga a dovere. Il Santo Padre, commentando l’Istituzione dell’Eucaristia (V Mistero), afferma: «La Vergine Madre ci indica la via per la nostra oblazione pura e santa nelle mani del Padre… Con Lei e come Lei siamo liberi per essere santi; liberi per essere poveri, casti e obbedienti; … liberi per portare all’odierna società Gesù morto e risorto, che rimane con noi sino alla fine dei secoli e a tutti si dona nella Santissima Eucaristia». E non lo dice solo ai sacerdoti e ai consacrati. O, meglio, lo dice a loro perché lo testimonino a tutti. Rivolgiamoci quindi a Maria madre della nostra gioia con intensa fiducia, chiedendo una speciale intercessione per tutte le famiglie.
+ Angelo Card. Scola, Arcivescovo Metropolita
tratto da www.chiesadimilano.it