Verso il Convegno7: L’originalità femminile, contro l’omologazione a basso costo

Le proteste di alcune femministe di ieri in piazza San Pietro ripropongono il tema del ruolo della donna nella Chiesa e nella società.  Mentre ci prepariamo al CONVEGNO della Famiglia del 25 gennaio prossimo, vogliamo riflettere oggi su questo tema a partire da un articolo di Costanza Miriano, sposa, madre e professionista.  

di Costanza Miriano

Quando Karol Wojtyla diventò Papa io avevo sette anni, ma l’età della ragione era di là da venire. Prima, prima che arrivasse la ragione, le balle sulla parità io e le mie coetanee ce le siamo bevute tutte. “Uomini e donne sono uguali, bisogna competere sugli stessi campi, niente ci è precluso, e anche se un giorno diventeremo mamme non saremo certo tenute a scegliere, e che diamine!”.
Ma non è tutta colpa mia. Che ne sapevo della vita, di come siamo fatti, di cosa davvero significhi il fatto che «maschio e femmina li creò, a sua immagine»? A mio discapito, signori della corte, vorrei ricordare che a una adolescente degli anni ’80 bastava accendere Videomusic (ve la ricordate?) per vedere maschi alla David Bowie con una messa in piega che neanche mia zia, femmine androgine o all’altro estremo aggressivamente sessuate come Madonna. Spero che la corte la ritenga un’attenuante per quei miei guanti di pizzo nero che rimarranno negli annali dei capi di abbigliamento più inspiegabili della fine del secolo scorso.
Erano anni in cui noi donne pensavamo di saperla lunga. Noi, o meglio le nostre sorelle maggiori avevano rovesciato il maschilismo più becero ed egoista, conquistandoci il diritto al voto (le nostre nonne) e altri importanti passi in avanti. Nel rovesciare la logica del dominio, però, le donne l’hanno fatta propria, per quanto capovolta. A ben vedere, l’emancipazione femminile non è stata che un’applicazione della logica maschile del dominio, dall’altra parte. Io non voglio più esserti assoggettata, ma invece di esserti un’alleata, un aiuto, una compagnia leale e di uguale dignità, voglio finalmente imporre la mia voce fino a coprire la tua.
Ma di voci veramente diverse, in quegli anni, ne rimase una, alta, forte, sola. In una Chiesa quasi schiacciata, spaventata, un giovane vescovo divenne Papa, ed esordì nel suo luminoso pontificato invitando tutto il mondo a non avere paura, perché Cristo è il centro del cosmo e della storia. Lui, il Papa, per primo non ha avuto paura di proporre un modello esigente e alto alle donne e agli uomini. Non ha fatto sconti sulla Evangelium vitae, non ha aperto le porte al mondo sulla contraccezione (tanto meno sull’aborto, è ovvio), sul sesso fuori dal matrimonio. Non è sceso sul piano delle femministe, delle loro rivendicazioni, ma ha invitato loro, le donne, a salire più in alto, a non deprezzarsi, a non svendersi per così poco: una sessualità libera in cambio di una sterminata solitudine, dell’infecondità, della perdita di identità, dell’infelicità.
La Mulieris Dignitatem l’ho ricevuta nel 1989 per Natale. Non ricordo chi mi abbia fatto questo caritatevole dono, forse la mia amica Daniela. A quel punto avevo 19 anni, e della lettera apostolica mi innamorai, letteralmente. Come resistere a quella chiamata a un amore alto, sublime, tra l’uomo e la donna, figura dell’amore trinitario? Dio ha qualità anche femminili, perché la sua immagine è nell’uomo E ANCHE nella donna. Maschio e femmina, a sua immagine. Una scintilla di Dio è in entrambi, ma “la donna non può tendere ad appropriarsi delle caratteristiche maschili, contro la sua propria originalità femminile”.
Attraverso le donne che Gesù incontra nel vangelo, e ancor più attraverso Maria, Wojtyla parla dello specifico femminile. E qui, sulla maternità, scrive parole commoventi sullo speciale debito che il mondo ha verso la donna, per la sua disposizione personale al dono. La donna si ritrova dandosi, «mediante un dono sincero di sé», dice il Papa, mostrando una conoscenza acutissima della mente femminile, che ha «una speciale comunione col mistero della vita». Per questa speciale chiamata a dare amore «la donna rappresenta un valore particolare come persona umana».
Quante sofferenze avrebbe potuto risparmiare a tante, tantissime donne che conosco la lettura e l’accoglienza della Mulieris Dignitatem. Purtroppo se ne propongo la lettura alle mie amiche, a ancor più se gliela avessi proposta quando avevamo 19 anni, me l’avrebbero tirata in testa (fortuna che è leggera).
Gli stessi concetti sei anni dopo animano la Lettera alle donne, scritta per la conferenza di Pechino: la donna, come dice la Genesi, è un aiuto dell’uomo. Un aiuto, scrive il Papa, non unilaterale ma reciproco.  
Si vede proprio che Giovanni Paolo II sul mistero del matrimonio ci si è rotto la testa, e già da quando, giovane sacerdote, seguiva gruppi di coppie. Allora la teologia considerava la vocazione alla vita coniugale “non un ostacolo” alla perfezione. Invece la via che tracciava lui per le sue famiglie era la via della santità più alta. Non dire ti amo, diceva ai fidanzati, ma  partecipo con te dell’amore di Dio, chiarendo subito che nel matrimonio cristiano gli sposi sono tre, lui, lei e Dio. E’ lui l’unico che può indurci a dire una cosa così rischiosa e impensabile come “finché morte non ci separi”, e anche ad avere almeno una vaga speranza di mantenere fede alla parola data.
E grazie a questa fedeltà, allo starci, al rimanere sulla croce del qui e ora (che davvero può essere una croce) nella famiglia, sotto gli occhi di Dio, si rinnova la faccia della terra. Un programmino niente male.
Wojtyla ha avuto anche una carissima amica, una donna, Wanda Poltawska, come lei ha raccontato nel Diario di un’amicizia  Lei era una donna sconvolta dall’esperienza dei lager.  Wojtyla, da giovane sacerdote incontrato “per caso” in un confessionale, la aiutò a dire ancora una volta sì alla vita, alla sua vocazione di donna e poi di sposa. Con lei, che lo chiamava fratello, tante volte si confrontò. Lei, che reclusa in un lager aveva visto bambini appena partoriti buttati vivi nei forni, e che faticò a liberarsi da quell’orrore, ha dedicato tutta la sua vita a difendere la famiglia e la vita nascente, e quest’impegno i due amici lo condivisero combattendo strenuamente, lei come medico psichiatra, dal suo consultorio in Polonia, lui dalla cattedra di Roma. Ma anche da Papa trovava il tempo per stare vicino alla sua amica carissima, tanto segnata dalla crudeltà nazista, leggendo le sue meditazioni spirituali, correggendole, annotandole a margine, facendole da padre spirituale, mostrando di conoscere la complicata mente femminile come pochi uomini. Io personalmente, che gli uomini non li capisco e avrei bisogno di un traduttore per farmi capire da loro, un amico così lo avrei voluto proprio ma proprio tanto.

Verso il Convegno6: Dove trovare il coraggio della riconciliazione dopo una lite…

 La lite, il diverbio tra marito e moglie non sono un’obiezione alla possibilità di una vita di coppia stabile e felice. Fanno parte della dinamica dei rapporti umani. L’importante è poterli superare. La testimonianza di vita di Andrea Giovanoli, prossimo opspite al CONVEGNO DELLA FAMIGLIA  del 25 GENNAIO.

di Andrea Torquato Giovanoli

Complice una nottata di sonno più volte interrotto dalle colichine del nostro ultimogenito (ed un bagaglio di stress arretrato da smaltire), mia moglie ed io stamattina eravamo piuttosto intesiti.

Puntualmente al maligno è bastato poco per indurci alla diatriba, e come tante volte capita, per motivi futili e pretestuosi.

La mia sposa è sanguigna e quindi a me tocca fare il “muro di gomma” per evitare che si trascenda, ma ciò non significa che io non senta la rabbia per le offese gratuite.

Sta di fatto che il dibattito, dopo poche accese battute, è presto finito in un silenzio imbronciato: mia moglie sembrava essersi “sfogata e soddisfatta”, ma da parte mia mi sentivo ingiustamente aggredito, e covavo in cuore un astio acuto, tanto da chiudermi in un mutismo cocciuto e mal tollerante persino della sola presenza della consorte in casa.

Come uscire da questo en-passe così pericolosamente inclinato verso un ben conosciuto circolo vizioso di discordia e rancore?

Ancora una volta la chiave di lettura di ogni realtà e relazione è Cristo: e, nella vita coniugale più che mai, il passaggio necessario è Maria.

Allora ho messo in atto una strategia che ho esperito come la sola che funziona tutte le volte, in tutti i rapporti, specialmente in quello di coppia: ho adottato la logica della croce.

Quando sono arrabbiato con mia moglie mi metto subito a fare qualche lavoro domestico (che tanto in casa c’é sempre qualche mestiere da fare): così ho iniziato ritirando e piegando i panni asciutti, poi ho preparato il pranzo, quindi ho lavato i piatti ed infine ho dato una pulita profonda a tutti i sanitari.

Non che normalmente non aiuti mia moglie in tali mansioni, ma in queste occasioni mi ci metto di particolare impegno, cercando di espletare i compiti che più mi costano fatica e soprattutto cerco di stare attento all’atteggiamento del cuore: faccio ogni cosa “per” lei, non solo perché se lo faccio io lei non ha da farlo, ma custodendo in ogni cosa il principio di donazione all’altro.

locandina famigliaNell’imitazione di Cristo che muore crocifisso per la Chiesa sua sposa, ma precipuamente, visto che si tratta di faccende domestiche, così come credo facesse anche Maria, durante quei trent’anni trascorsi a vivere semplicemente come sposa e madre, nel nascondimento nazaretano.

E come sempre ha funzionato: il cuore, per poter creare posto all’altro è costretto a svuotarsi ed i liquami dell’orgoglio ferito vengono presto risciacquati via dalla grazia misericordiosa dello Spirito, il quale sempre accorre in aiuto a chi cerca di farsi modello della Sua Immacolata sposa.

Sul finir del meriggio la pace era tornata nella nostra casa e la giornata si è conclusa con il reciproco perdono ed una rinnovata gioia d’essere famiglia.

Perché la via della croce, vissuta in Cristo, conduce SEMPRE alla risurrezione…

Verso il Convegno5: Quando l’amore è anche morire a se stessi

Amare non è sempre e soltanto soddisfare i propri bisogni, ma anche sacrificarli sull’altare dell’offerta di se stessi. Andrea Giovanoli ci propone questa semplice verità a partire da un episodio di vita spicciola, come un pasto familiare.

Disegno comico: la famiglia degli abitanti del paese esotico ha la cena. Archivio Fotografico - 6611407

 

di Andrea Torquato Giovanoli 

Mia moglie ha una passione viscerale per il cibo, ma che non è gola, è  invero gusto per l’assaggiare i sapori. Io di contro vivrei di menù fisso. Così capita che se, per dire, si sta mangiando la stessa pasta, lei al sugo ed io in bianco, come uno studente impreparato all’esame mi ritrovo a paventare l’incombente interrogazione: “Posso sentire com’è la tua?”, mentre la sua forchetta già si protende verso il mio piatto a violare l’intimità della mia pietanza, come un invasore che mi depreda, che se mi pungolasse  invece le carni mi sarebbe di minor fastidio.

 Ebbene oggi, puntuale, si è riproposto il siparietto, ma sorprendentemente, anziché il furore represso è stata la catarsi a cogliermi d’un tratto. Poiché in effetti la vocazione a cui ho risposto è quella di farmi totalmente dono per lei, ogni istante e “finché morte non ci separi”, ed allora dovrei essere io, rinnegando la mia natura plantigrada, ad offrire per primo a lei un assaggio, senza che lei debba chiedermelo. Ma quante volte, invece, sono colpevole di questi piccoli tradimenti a quel “sì” solenne che pur proferii convinto e consapevole davanti a Dio e agli uomini? Quante volte mi sorprendo infedele a quella promessa di uscire da me stesso per creare un vuoto accogliente per lei?

Perché questo è il matrimonio in Cristo, ed è tanto esigente che persino gli apostoli, davanti alla rivelazione di Gesù si dissero: “Se questa è la situazione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi”. Al che Egli rispose loro: “Non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso” (Matteo 19,10-11).

Ebbene io, come chiunque si sposi cristianamente, ho ritenuto di essere tra quelli a cui è stato concesso, eppure tradisco mia moglie ogni giorno e le mie infedeltà a quella promessa non si contano nemmeno più, oramai. Bisogna concluderne che il matrimonio è un’utopia? Che questa vocazione alla santità è un’illusione? Forse per chi non crede, ma non per chi nel suo sposalizio tende a  conformarsi a quello che unisce Cristo alla sua Chiesa: poiché come quest’ultima anche ogni coniuge cristiano può fallire ogni giorno la sua vocazione, ma per l’Amore di Colui che l’ha chiamato ad amarLo e lasciarsi riamare incondizionatamente nella consorte, ad ogni caduta verrà rialzato per ritentare, in una morte a se stessi che, per grazia celeste, se domandata, conduce a risurrezione.

Perché l’amore non si nutre solo di sentimento, ma forse anche più, e più profondamente, di volontà d’amare e la ricetta sempre valida per ogni relazione, tanto più per quella tra due sposi, la sintetizzò già efficacemente quella Rita da Cascia che prima d’esser Santa fu moglie e madre: perdonare sempre, perdonare tutto. Poiché il perdono è grazia di Dio che si traduce nella relazione con la presenza viva di quel Cristo crocifisso che solo salva con la sua risurrezione, cosicché per l’intercessione potente di quella Madre e Sposa che è Maria, in ogni tempo, per ogni coppia di sposi, con l’amore offeso che perdona, si ripropone quel miracolo di Cana che trasmuta la caducità del sentimento umano nell’Amore sempiterno di Dio.

E allora moglie mia io ti rinnovo qui, per il domani, questa promessa, che prima che tu me lo domandi, io ti porgerò il mio morire a me stesso in quella offerta: “Vuoi assaggiare?”.

Adsense

Archivio

Traduci