Verso il Convegno15: Genitori senza regole producono figli ingovernabili
E’ possibile ancora per i genitori dare regole ai figli? O bisogna fare di tutto perchè siano sempre e comunque spensierati? Costanza Miriano torna sul tema dei rapprti genitori-figli richiamando i genitori a recuperare il loro insostituibile ruolo nell’educazione e nella formazione dei figli. Non senza il rischio di commettere errori.
di Costanza Miriano
Dunque, fatemi capire se ho capito bene.
Secondo la vulgata, i bambini devono essere lasciati liberi, ma come diciamo noi. Quindi per cominciare i loro sentimenti vanno anestetizzati. Che siano liberi da comandi repressivi, però, per cortesia, che non siano molesti, non conoscano dunque né il vuoto né la noia (e per questo tra tempo pieno a scuola e impegni pomeridiani le loro vite sono ferocemente organizzate). Devono esprimersi liberamente, ma sempre sotto il controllo di un adulto.
Non possono arrabbiarsi se i genitori, per esempio, si separano. Non possono essere tristi, depressi, disperati. Non devono provare rancore se i genitori partono alla ricerca di se stessi. Insomma possono essere come vogliono, a patto che siano come vogliamo noi. Questo più o meno il messaggio che arriva ai bambini sfogliando i giornali, o, anche, in libreria la maggior parte dei libri scritti per loro ai giorni nostri, come per esempio Diverso come uguale, di Luana Vergari, casa editrice Becco Giallo, che recita esattamente così: “Tony ha una stanza fichissima nella sua casa numero 2, dove abitano i suoi 2 papà. Tanto tempo fa il papà n. 1 di Tony e sua mamma erano sposati, ma poi hanno deciso che era meglio se s’innamoravano di altre persone. Allora il papà n.1 di Tony si è innamorato di Raul che è anche lui maschio, ed è diventato il suo papà n.2. La mamma di Tony non si sa, ma se si innamora di un maschio anche lei allora Tony ha anche il papà n.3!” Tutto ciò è illustrato con disegni che tentano di essere allegri, a colori disperatamente sgargianti. (Gli errori grammaticali, fatti immagino per rendere più amichevole il testo, sono nell’originale).
Anche questa per me è violenza sui bambini. Vuoi fare i tuoi comodi, senza curarti delle conseguenze che questo avrà su tuo figlio, o almeno non lasciandoti fermare da questa preoccupazione? Non gli togliere, almeno il diritto, di odiarti, di pensare che questo non è “fichissimo”, non cercare di convincerlo che ha un papà numero due o numero tre, perché lui sa e saprà sempre che ne ha solo uno, e senza numero. Lasciagli il diritto di essere arrabbiato, e disperato. Lasciagli desiderare disperatamente che i suoi genitori stiano insieme. Lasciagli odiare il “nuovo compagno” di mamma e papà.
Un’amica mi ha detto che ha conosciuto una neuropsichiatra infantile chiamata sempre più spesso dalle maestre a cui i bambini dicono “voglio morire”. E il problema, dice lei, sono sempre più spesso le famiglie allargate, questi ogm descritti dalla tv, dal cinema, da tutti come situazioni allegre e piene di simpatiche novità. Come se non sapessero che invece vanno a toccare quanto ogni bambino ha di più sacro, gli archetipi più profondi, quello che un giorno contribuirà a determinarne l’identità in modo incancellabile.
Ieri sera ho imprudentemente letto alle mie figlie un libretto che non avevo ispezionato prima. Si chiama La principessa della luna, di Francesca Lazzarato. La copertina diceva che era per lettori di 5-6 anni, i bei disegni mi hanno ingannata, e quindi mi sono trovata alle prese con una principessa alata che viene dalla luna. Sposa un contadino, hanno una bambina. Lui le nasconde il vestito ma un giorno lei lo ritrova, prende in braccio la sua bambina e vola via, perché certo, chiosa l’autrice, sapeva che prima o poi sarebbe dovuta tornare a casa sua. Il contadino era troppo pesante, non poteva portarlo con sé.
Immagino che questo sia un altro dei libri pensati per far entrare nell’inconscio dei bambini l’idea che i genitori a un certo punto debbano inseguire il loro destino, a qualsiasi costo. Le mie bambine, comunque, alla fine si sono molto divertite, perché quando ho visto la mala parata ho cominciato a usare il libretto come carta igienica, fazzoletto da naso, filo interdentale, bastoncino per le orecchie, ed è finita che si sono ribaltate sul letto dalle risate, cosa che ha rallentato l’addormentamento, ma ha insegnato che i libri si possono leggere criticamente, e anche strappare e buttare nel secchio.
Genitori senza regole e senza comandamenti, poi, producono figli ingovernabili. Deve essere per questo che ha preso così tanto piede l’insana, folle, inspiegabile, assurda piaga degli animatori delle feste per bambini. Soggetti che indossano un microfono appeso all’orecchio, e urlano “tutti su, tutti giù, lanciate in aria i pallonciniiiii” come dei pazzi, con la musica – rigorosamente orribile – a tutto volume (c’è una infallibile corrispondenza tra la bruttezza della musica e il volume a cui viene lanciata). Qualche giorno fa, credo per la prima volta in vita mia, me ne sono andata da una festa, accogliendo di buon grado la richiesta delle bambine, che odiano come me gli animatori e la confusione insensata. Eravamo andate per conoscere le amichette e le mamme della prima elementare, ma sommerse dal rumore e dai palloncini sponsorizzati dal centro commerciale era impossibile anche dire “piacere mi chiamo Costanza”.
Mi chiedo perché questo succeda sempre più spesso. Non me lo spiego. Io faccio feste a casa al termine delle quali ci vuole non l’animatore, ma casomai il rianimatore. Perché i genitori pensano che i loro bambini non possano semplicemente stare insieme nella stessa stanza senza essere intruppati e organizzati? Cos’è questo horror vacui? Non sanno che alla fine si organizzano? Chiacchierano. Iniziano a giocare con il nulla, anche che ne so con le bottiglie della Coca Cola vuote, con i tovagliolini di carta (ottimi per vestire i peluche), con le lattine usate come birilli. Si inventano dei giochi meravigliosi se noi ci fidiamo della loro intelligenza.
Dopo la festa ho chiamato la mamma che l’aveva generosamente organizzata, per scusarmi di essermene andata (avrei detto che avrei aderito all’iniziativa della prima festa della nuova classe solo a patto che, appunto, non ci fosse l’animatore). E lei ha ribadito che sopra un certo numero è impensabile fare a meno dell’opera del soggetto col microfono all’orecchio, perché altrimenti i bambini cominciano a tirare le sedie e rovesciare i tavoli. Eppure lì, in quella sala, nel pomeriggio, era pieno di genitori. Seduti, mentre l’animatore urlava come un forsennato. E mi chiedo: ma non siamo capaci di chiedere niente a questi bambini? Nessuna frustrazione, nessun comando, nessuna regola? Ci fidiamo così poco di loro? Abbiamo una meta così bassa per loro? O forse il problema è che è bassa la nostra, di meta?
Verso il Convegno14: Le coppie non fanno figli perché hanno perso la speranza cristiana
Al seguente link un’interessante intervista a Costanza Miriano in cui parla del tema della bassa natalità italiana e sulla necessità di tutela, da parte dello Stato, per le famiglie. “Le detrazioni fiscali – dice – sono importanti. Ma all’origine del crollo drammatico della natalità nel nostro Paese ci sono una mancanza di speranza e una forma di superbia. Tanto per la crisi demografica quanto per quella economica le ricette finanziarie non sono sufficienti, occorre ritornare ai fondamenti della fede… Lo documenta il fatto che i nostri genitori, nati in tempo di guerra o subito dopo e con speranze di benessere economico molto basse, facevano molti più figli rispetto alle giovani coppie di oggi”.
Verso il Convegno13: I grandi siamo noi… chi?
Chi decide le regole in famiglia? Cosa significa che padre e madre siano autorevoli? I genitori hanno qualcosa da insegnare ai loro figli? Su questi temi interviene Costanza Miriano in questa riflessione. La regola è sempre la stessa: nessuno può dare ciò che non possiede.
di Costanza Miriano
A tutti noi capita di vedere bambini che contrattano le regole con i genitori, che decidono la meta delle vacanze familiari, e che per questo sono considerati “avanti” da genitori sempre più insicuri e fragili. “Sono più di venti anni che assistiamo a questo ribaltamento dei ruoli” dicono in coro i vari psicoesperti consultati.
Sulla foto siamo tutti d’accordo. È una fotografia, appunto. Ci si limita a un generico invito a riprendere autorevolezza, o a farsi aiutare da un esperto.
A me sembra che quello che sta succedendo sia semplicemente l’epilogo naturale di una cultura che ha eliminato il padre, incarnazione della regola (ridotto semplicemente a “genitore”, mai “padre”, quello che a volte deve anche saper battere i pugni sul tavolo), che ha incoraggiato in tutti i modi la dissoluzione della famiglia, luogo in cui le regole vengono condivise, compensate, bilanciate (se si passa da una casa all’altra di genitori separati ognuno fa come crede, e non è scontato che la linea sia la stessa), che ha tolto soprattutto di mezzo Dio, l’unico orizzonte alto e assoluto sul quale appoggiare le regole.
Colgo l’occasione per dire che non scriverò mai un libro sui figli, come da più parti mi invitano a fare, perché credo che avrò una vaga percezione del lavoro svolto solo sul letto di morte (e, ragazzi, che sia chiaro: io continuerò a farvi prediche anche dopo, quando avrete cinquanta anni, affacciandomi dalle nuvole quando vi pulirete il moccio con la manica della felpa, dal frigo quando mangerete fuori orario, dalla mensola dei fumetti per cercare di indurvi a leggere piuttosto un bel romanzone russo). Ho fatto un numero incalcolabile di errori educativi, e se pubblicassi un libro lo dovrei certo ritirare presto dal mercato quando un mio figlio venisse sospeso dalla scuola per avere cosparso di marmellata la maniglia della porta di scuola, o introdotto un lombrico nel panino del compagno di banco (la hybris di una madre che vuole insegnare alle altre verrebbe senza dubbio punita).
Rimane il discorso che i genitori di oggi vanno alla cieca con i figli perché vanno alla cieca anche con se stessi. Se si cerca, e sottolineo mille volte cerca, di guardare ai dieci comandamenti e al Vangelo e alla vita eterna come obiettivo è forse possibile sbagliare un po’ meno. È l’unica speranza di imbroccare la direzione giusta. Se si pensa che ogni opinione e posizione sulla faccia della terra abbiano diritto di cittadinanza, e che i figli vadano lasciati liberi di esprimere le proprie potenzialità, è più difficile mantenere la bussola nelle circa seicento volte al giorno che bisogna prendere microdecisioni con i figli. Se c’è una famiglia solida e unita, che, con tutte le magagne possibili, ce la mette tutta a fare del suo meglio, è ipotizzabile riuscire a fare qualcosa di decente.
Per questo raccomando invece, come antidoto, la lettura di Finché legge non vi separi, il libro dell’avvocato civilista (e non divorzista, si badi bene) Massimiliano Fiorin, che con precisione e competenza smaschera una cultura e un sistema giuridico che favoriscono e incoraggiano in ogni modo possibile il divorzio, diventato nella mentalità comune un diritto soggettivo di ciascuno dei coniugi. Io che sono di cuore debole ho faticato a leggere tutti quegli episodi reali raccontati, interessantissimi ma penosi. Continuavo a pensare a tutto il dolore che quelle persone si procuravano a vicenda, e procuravano ai loro bambini. Come facciamo a dire loro che i grandi siamo noi, se nemmeno riusciamo a stare accanto alla persona che dicevamo di amare, se non sappiamo superare la fatica, la difficoltà, le emozioni contrarie?