Echi del Convegno1: un resoconto su blogsicilia
Grande successo al Teatro la Fenice di Biancavilla per la presenza della giornalista e scrittrice Costanza Miriano e dello scrittore Andrea Giovanoli nell’ambito dell’evento “E’ possibile una famiglia felice?”, promosso dall’Associazione Maria SS. dell’Elemosina, dalla Pastorale Familiare e dal Comune di Biancavilla.
L’organizzatore Alessandro Scaccianoce, durante il proprio intervento, ha sottolineato riportando le parole di Benedetto XVI che “è la famiglia la scuola di umanesimo in cui si sviluppa la Fede”.
Tale concetto è stato ribadito anche dal primo cittadino, Giuseppe Glorioso, che nel proprio racconto personale ha esplicitato che qualsiasi fede si coltiva all’interno del nucleo familiare. “La mia passione per la politica, che oggi mi vede cittadino di tutta Biancavilla, di chi mi ha votato e di chi non l’ha fatto, e per questi ancora di più, nasce in famiglia. Lì dove sentivo mio padre accalorarsi per la società, è stato messo il primo seme per ciò che oggi sono divenuto. Sono convinto che ogni cosa che la famiglia semina nell’arco della vita germoglierà, nel bene e nel male. Ma famiglia è anche la cittadinanza, e io ringrazio la mia giunta e tutta Biancavilla che insieme formano una vera agenzia educativa: strano ma vero, i ragazzi provenienti da realtà disagiate della nostra città, anziché essere messi in istituto vengono affidati a famiglie locali. Questo è per noi un grande segno di unione e soprattutto di aiuto nel formare i giovani”.
Tutta l’attenzione è stata però per lei, Costanza Miriano, autrice dei libri Sposati e sii sottomessa (40 mila copie vendute) e Sposala e muori per lei (già alla quarta ristampa), i cui titoli destano scalpore fra i credenti, gli atei e le femministe, e che s’ispirano a San Paolo, colui che la giornalista definisce il suo coach matrimoniale.
“Uomini e donne sono diversi, e l’uomo può solo imparare la donna non comprenderla – ci dice – Le donne pensano forse che sia la parità a combattere la diversità? Sbagliato. Un matrimonio se riesce è grazie alla donna. E non con concetti banali, ma perché siamo noi che dobbiamo desiderarlo. Nessun uomo e donna si soddisfano al 100% poichè cercano l’infinito. Però se cerchiamo forza nell’amore che ci sostiene allora è più semplice. Io cerco solo di provare a vivere il matrimonio come scrivo nel mio libro: evitare le prediche e l’atteggiamento da maestrine, ma amiamo il nostro uomo con gesti concreti e accettandolo com’è senza volerlo cambiare. E comunque- continua – nella coppia si è complementari la grandezza di un uomo sposato non può prescindere da quella della sua donna, mentre a lei può succedere di trovare la sua grandezza anche vicino a un uomo non esattamente nobile. I miei libri fanno scalpore, c’è chi mi dice che sono semplicemente fortunata, non capendo che vivere un matrimonio è sacrificio. Altri affermano che è perché sono cattolica e dunque un po’ triste. Già, spesso noi cristiani veniamo descritti come tristi e demodé. Io non sono d’accordo, infatti io e come me molte altre cattoliche praticanti, rido, amo la moda e dico no alle mutande ascellari!”
Costanza Miriano ha ribadito inoltre ciò che aveva espresso il 13 gennaio in piazza Farnese durante ( la manifestazione in sostegno a quella francese per la famiglia, contro la legge sul matrimonio omosessuale e la libertà di adozione per le coppie di persone dello stesso sesso): “ La famiglia è fatta da un uomo ed una donna. Oggi la coppia omosessuale viene chiamata arcobaleno. Ma non dovrebbe avere tale nome la coppia etero che è composta da due soggetti diversi fra loro?”
Anche il deputato regionale Nino D’Asero, intervenendo durante la conferenza, ha ribadito , come già affermava in tempi non sospetti il sociologo Giampaolo Fabris, che questo momento di crisi economica, di valori e di discontinuità affettiva è la transizione d’epoca e la vera rivoluzione sarà trovare la stabilità che solo un nucleo familiare può dare, così da trovare stabilità anche nella vita sociale.
Oggi il Convegno sulla Famiglia
Verso il Convegno20: Può una donna dare consigli ad un uomo?
Di seguito l’ultimo contributo in preparazione al Convegno di domani. Un inrteressante estratto dall’ultimo libro di Costanza “Sposala e muori per lei”.
di Costanza Miriano
Adesso che ci penso, che sia io a dare consigli su come dire agli uomini di sposarsi è poco credibile, ma ormai è tardi per dirlo alla casa editrice. Non so come fare, a questo punto.
Dovrei svelare che io al mio, di marito, ho teso una sorta di agguato, organizzandogli un matrimonio distratto, un po’ sottinteso. È vero, gli ho dato appuntamento in una chiesetta e, sì, è vero, avevamo fatto il corso prematrimoniale. Forse lui avrebbe potuto anche sospettare qualcosa, ma per il resto – invitati, lista, vestiti, viaggio – ho scelto un profilo così basso (per dire, le bomboniere le ha cotte in forno mia sorella) che era difficile mettersi in agitazione.
Quella mattina, tra pochissime persone, ho cominciato facendo la vaga, a porgli domande tipo “vuoi andare a sciare? vuoi che Jeff Buckley abbia il posto che si merita nella storia della musica? vuoi tu prendermi in sposa? vuoi che la Roma vinca lo scudetto?” “sì ok lo voglio…qual era la penultima che hai detto?”.
Ho consultato un mio amico docente di diritto canonico e dice che comunque è valido. Da allora la grazia del sacramento è deflagrata nella nostra vita, facendo nuove tutte le cose.
Già, perché il sacramento ha una potenza che noi non possiamo neanche immaginare, a volte segreta e nascosta; può agire in un modo che forse solo quando avremo raggiunto la nostra patria eterna capiremo, un modo potentissimo che però ha bisogno di partire dal sì della nostra libertà. Il nostro sì può essere anche timido, tentennante, la nostra scelta può anche essere fatta con una coscienza ridicola, ma Dio non scherza mai. E poi, più noi agiamo da persone serie con lui, più lui è serio con noi, e ci risponde con una prontezza sconvolgente, senza mai farsi battere in generosità.
Se la gente sapesse, davanti alle chiese ci sarebbe la fila di persone che chiedono di sposarsi, altro che numero dei matrimoni in caduta libera. Invece conosco tantissime donne – e dico donne perché stava a noi, prima che ci perdessimo, custodire la chiamata dell’uomo all’amore – zitelle (rifiuto la parola single) o pluridivorziate che hanno bruciato la loro vita e il loro amore dietro chiacchiere psicologoidi e modernoidi, cose tipo trovare se stessi, seguire il proprio istinto, guarirsi le ferite, lasciarsi guidare dai segni, dal destino e quelle cose col karma di cui non capisco un tubo: tutto ovviamente facendo a meno di Dio, che sarebbe l’unico che queste cose – guarirci, realizzarci, trovarci – le potrebbe fare per noi. Da quando invece le scienze umane hanno preso la follia generale come punto di partenza, come fisiologico su cui costruire e progettare la persona standard, come hardware su cui configurare il sistema operativo della società è iniziato il declino accelerato della nostra civiltà nel suo insieme.
In particolare in tutti i luoghi e i modi e i momenti possibili – mi sembra che sia questa la battaglia del secolo – si cerca di negare che il matrimonio tra un uomo e una donna (o la vita consacrata, che è un modo ancora più intimo e profondo di sposare qualcuno) corrisponda al desiderio profondo del cuore umano: tutti cominciano una storia pensando che sarà per sempre, e che la simbiosi provata in certi momenti possa, debba durare per sempre.
Il fatto è che nel matrimonio si parte, si dovrebbe partire, dalla domanda “chi sono io, chi è l’uomo”, per arrivare – chi prima, chi anche dopo molti anni di matrimonio – a capire che lo sposo è solo umano e non sarà in grado di soddisfarti pienamente. “Non sono io – scrive C.S. Lewis – io sono solo un promemoria. Guarda. Guarda. Cosa ti ricordo?”
Allora il matrimonio diventa un’elettrizzante avventura verso l’eterno, del quale l’altro è promemoria con la sua bellezza, la via che Dio ha scelto per prendersi cura di te, per amarti, ma anche per farti attraversare quel mistero che riguarda la vita di ognuno, la croce. La croce è il segno di ogni chiamata, anche di quella matrimoniale, perché l’amore è anche un lutto, un disgusto, una delusione, una indifferenza, una fatica e una pesantezza abbracciati.
Il problema è: come convincere un uomo della grandezza della scelta del matrimonio, come farlo innamorare dell’idea di morire per qualcosa di così poco eroico?
Perché le donne questo desiderio di stabilità, se non lo soffocano sotto pile di giornali e film infarciti di ideologia dell’indipendenza femminista, lo riconoscono più facilmente in sé. Per dire, Michelle Pfeiffer, che vuole trovarsi accanto Robert Redford al suo risveglio, quando lui risponde “Finora mi ci hai sempre trovato, anche se non so come hai fatto.”, replica: “Sì, ma ho bisogno di sapere che ti ci devi far trovare per legge”. Qualcuno sosterrà che l’esempio non fa testo, perché, siamo seri, chi non direbbe una cosa del genere a Robert Redford?
Il problema, Robert o no, è che un uomo può essere pronto a dare la vita, preferibilmente tutta insieme, per un ideale, una guerra, una squadra al limite, ma convincerlo a morire piano piano è difficile. Difficile fargli vedere l’eroismo, la grandezza, l’anticonformismo di decidere di lottare per la sua famiglia, di salvare il mondo una pratica alla volta, come Mister Incredibile che si mette a fare il liquidatore di assicurazioni, di morire per una moglie umana, umanissima (o anche subumana, quando, per dire, tenta di prelevare dal bancomat con la tessera della profumeria, o gli fa una telefonata transoceanica da sotto al divano per dirgli che c’è un pipistrello in casa. E comunque era una falena).
Quanto alle donne, devono sempre verificare se, tante volte, ne possano (o ne avrebbero potuto) trovare uno un po’ più. Segue elenco di aggettivi a scelta. Profondo, nobile, spiritualmente elevato ma anche aitante, brillante, bello, ricco ma nobilmente disinteressato al denaro, fine psicologo, filosofo ma anche un po’ idraulico, stabile e calmo ma deciso all’occorrenza, fine conoscitore della Bibbia, possibilmente dei testi almeno almeno in latino, ma anche della più vivace leva registica contemporanea, sportivo, capace di ascoltare, rude ma innamorato, ordinato ma creativo, un po’ gastroenterologo ma non ipocondriaco, amante della letteratura e dell’arte ma pratico, falegname e filologo, in grado di ricordare date e particolari dei primi appuntamenti ma fieramente concreto, capace di sbrigare le faccende domestiche ma anche di fare le tracce per l’impianto elettrico, accudente coi figli ma autorevole.
La donna deve fare un cammino di conversione non dico per pretendere di meno, ma per valorizzare quello che c’è, imparando a partire dal reale. L’uomo invece al contrario fa fatica a volare un po’ più alto. A vedere la bellezza e la grandezza della sua chiamata.
Purtroppo, ammettiamolo rassegnatamente, se c’è qualcuno che esalta il matrimonio, lo fa spesso con quelle parole logore e spente, con quelle fotine di famiglie rigorosamente in scarpa comoda e tuta da tempo libero tali da indurre anche nel più volenteroso ascoltatore, anche se profondamente cattolico, il desiderio di prendere qualsiasi altra strada, compreso al limite scappare alle Barbados con il meccanico transessuale dalla lunga chioma biondo platino per sfuggire all’attacco di claustrofobia.
Difficile trovare chi esalta la famiglia come un gioco per veri duri, una sfida fantastica e avvincente dove è obbligatorio, tra le altre cose, continuare a sedursi e ridere tantissimo, anche quando si fa fatica. Perché la fatica si fa, ma l’amore ha una sola misura: quello a cui si è pronti a rinunciare.
Il punto di partenza per azzerare la famiglia è stato “normalizzare” il sesso, renderlo il più possibile simile a una forma di attività fisica che non riguardi, come invece è in verità, concetti incisi nella parte più profonda di noi, concetti di purezza e contaminazione, inviolabilità e profanazione, come dice Roger Scruton. Il desiderio liberato da vincoli morali è uno stato d’animo nuovo ed estremamente artificiale. D’altra parte anche l’immortale Sally lo dice a Harry, dopo che hanno fatto l’amore. “Perché ti comporti come se fosse cambiato tutto?” – chiede lui. “Perché è cambiato tutto”.
Il desiderio riguarda non semplicemente un corpo, ma una persona: il vero desiderio è compromettente e minaccioso perché è una supplica che chiede reciprocità. Quando si entra nella stanza segreta in cui si trasmette la vita, la posta in gioco è altissima. La visione di questo luogo sacro o è affascinante, se entri togliendoti le scarpe, o è tremenda, se vai per distruggere, ma non si può mai dire che sia una visione neutra. Allora ci si copre la testa, come entrando in un tempio (va be’, nelle nostre chiese ormai si entra anche coi pantaloncini, e col cellulare acceso…).
La libertà sessuale apparentemente conquistata ha un prezzo molto alto, e lo pagano per primi i figli che intanto sono pochi, e poi scontano una molto minore sicurezza, e un minore senso di appartenenza a una comunità organizzata e dotata di punti di riferimento stabili. Una società non più neanche liquida, ma addirittura coriandolare, dove cioè i legami che si stavano liquefacendo si sono definitivamente spezzati.
Quando due si sposano, non sono più solo lui e lei, ma una terza cosa, una cosa sola. Una terza cosa che gli psicologi chiamano in tanti modi, ma che noi credenti chiamiamo sacramento, operato dallo Spirito Santo e arricchito dai suoi doni, che sono amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, mitezza, dominio di sé. Questi regali Dio li fa a tutti i figli che glieli chiedono, anzi più che mandarceli ce ne inonda, non per lui o per lei, ma per quella cosa nuova che loro due sono insieme.
A questo punto devo dire qual è in assoluto la cosa più importante, sconvolgente, esplosiva che ho imparato sull’amore, quella che vorrei tatuarmi sul dorso delle mani per costringermi a leggerla centinaia di volte al giorno, e provare a vedere se la imparo: l’amore vero è preterintenzionale. L’amore vero c’è, e regge, quando supera la disillusione reciproca che viene dal capire che l’unione simbiotica, facile, spontanea non esiste. Non fuori dai film. Non fuori dal periodo della conquista e della seduzione. Non all’impatto con la realtà, con la fatica, con le pappe i mutui i figli adolescenti le rughe e le piccole idiosincrasie.
Quando tu però ce la metti tutta per essere bella, e lui per essere nobile, accettando quasi la morte dell’amore, di come è inteso secondo la vulgata almeno qui in occidente – farfalle nello stomaco e violini che suonano e batticuore e reciprocità facile e spontanea – quando tu metti una croce su tutto questo, e accetti di morire a tutto quello che desideravi, o credevi di desiderare, alle tue attese e ai progetti, e di morire ogni giorno, di portare questa ferita sempre aperta, di lavorare sui tuoi difetti – la donna sulla volontà di dominio, l’uomo sull’egoismo – senza aspettare che qualcuno lo riconosca, allora, quasi per caso, per un incontro tra due che decidono di fare entrambi questo immane lavoro – e spesso la decisione non è simultanea – allora ci si può amare anche al di là delle proprie intenzioni. Si incontrano così due persone che stanno cercando di essere belle e nobili, e che hanno rinunciato a dominarsi l’una con l’altro, a prevalere, ad adottare tattiche. Due persone, infine, che non si consegnano neanche totalmente all’altro, alla sua parte di male, che non la assecondano, come Erec che nel racconto di Chrétien de Troyes vince in torneo la principessa, Enide, e per compiacerla rinuncia alla vita cavalleresca per godere senza interruzione del loro amore, e lei dopo un po’ gli dice “era meglio quando non mi davi retta”, perché se lui perde la sua nobiltà lei finisce per distruggerlo.
Questo tipo di amore, preterintenzionale, è una grandezza che non ha nulla di romantico, non un esaltato ardore, ma – come dice Denis de Rougemont – la più sobria e quotidiana follia, cioè una paziente e tenera applicazione della fedeltà, una fedeltà osservata perché ci si è impegnati e perché, con il più profondo non conformismo, non si crede al potere rivelatore della spontaneità, dell’immediatezza e della molteplicità delle esperienze. Una fedeltà che fonda e costruisce la persona, persona che è una vera e propria opera. Un’opera che si fonda prima di tutto sulla fedeltà a qualcuno che, nel caso del matrimonio, è una vita che mi è alleata, miracolosamente, per tutta la vita.