“Ciciliu” di solidarietà

Domenica delle Palme, 24 marzo, distribuzione del tradizionale “Ciciliu” pasquale a cura dell’Associazione “Maria SS. dell’Elemosina” e della Caritas parrocchiale della Matrice.

Redazione SME

cicilia-2012-006Fervono i preparativi per la realizzazione del tradizionale “Ciciliu” pasquale. Come ormai da diversi anni, anche domenica prossima si potrà acquistare questo tipico dolce. Il ricavato andrà per i bisogni delle famiglie povere assistite dalla Caritas.

Distribuzione: Piazza Roma, Biancavilla – Domenica delle Palme, dalle ore 9,30 alle ore 13,00 e dalle ore 18,00 alle ore 20,00.

Cos’è il “Ciciliu”?

Può avere le forme più diverse. Con uno o più uova di gallina. Può essere salato o dolce. Alcuni sono anche molto colorati, grazie all’uso delle codette colorate.
Stiamo parlando del tipico “Cicilìu” di Pasqua. Ogni siciliano sa di cosa si tratta. Per gli altri, è bene sapere che si tratta del preparato che contraddistingue le tavole siciliane nei giorni di Pasqua.
Nella civiltà contadina siciliana, infatti, esso rappresentava il tipico dono che ci si scambiava a Pasqua. Bello per la forma, nutriente e sostanzioso.
La preparazione costituisce un vero e proprio rito comunitario. Il “Cicilìu” è un prodotto che nasce per creare condivisione e comunione. In passato questo dato era ancora più evidente, quando ci si riuniva in casa per la preparazione dell’impasto. C’era chi era più esperto nell’abile creazione delle figure più elaborate. Altri facevano spicciola manovalanza, limitandosi a spennellare la pasta con l’uovo sbattuto. Tra le forme più tipiche vi è ilcicilia-2012-017 “ciciliu” a forma di cestino o campana, che può contenere anche più di 2 uova, l’”aceddu cu l’ovu” e la “cuddura” di solito con un numero di uova dispari. Ogni forma aveva il suo significato: la ciambella rotonda di pasta a treccia era per gli amici (per consolidare il legame affettivo), quello a forma di cuore per l’amato, il galletto o la colomba per i ragazzi (con l’augurio di poter spiccare presto il volo), la pupa per le ragazze (augurio di feconda femminilità), il cestino per le famiglie (auspicio di abbondanza).
E’ facile immaginare che più uova ci sono, più il “Cicilìu” assume importanza e significato di rispetto a chi si dona. Sembrerebbe, addirittura, che in passato esistesse un vero e proprio “galateo del Cicilìu” in base al quale quello da donare al fidanzato doveva essere ornato con 9-11 o più uova, quello della suocera con 7 uova, quello dei cognati con 5, quello dei nipotini con 3.
Questi tipici dolci pasquali assumono nomi diversi in Sicilia a seconda della località in cui sono preparati:“campanaru” o “cannatuni” a Trapani, “pupu ccù l’ovu” a Palermo, “cannileri” nel nisseno, “panaredda” ad Agrigento e a Siracusa, “cuddura ccù l’ovu” e “ciciliu” a Catania, “palummedda” nella parte sud occidentale dell’isola.

“Fidi ti sarva…”

In una foto d’inizio 900 è ritratta la fede dell’uomo di ogni tempo, che non può rinunciare alla bellezza come motore di fede e di speranza. Poiché: “non di solo pane vive l’uomo…”.

sepolcro-1910

di Alessandro Scaccianoce

Navigando nel web mi sono imbattuto casualmente in quest’antica foto, ricca di grande suggestione. Una foto che risale addirittura al 25 marzo 1910, Venerdì Santo. Essa raffigura l’altare del “sepolcro” realizzato nella  chiesa “Colleggiata” di S. Maria Maggiore di Laurino, un piccolo comune di montagna del Cilento, in provincia di Salerno (circa duemila anime).  La foto, pubblicata sul sito www.zadalampe.com, è stata scattata da un compaesano, barbiere, ma con la passione per la camera oscura: tale Emilio Durante.

Già la data della foto è molto ricca di significato. Il 1910 è stato uno degli anni, piuttosto rari, in cui nello stesso giorno si celebrava l’Annunciazione del Signore e la sua passione e morte. A tal proposito, giova ricordare che nell’antichità molti Padri della Chiesa, tra cui Tertulliano e Leone Magno, ritenevano che il 25 marzo fosse il giorno dell’Annunciazione e, insieme, il giorno della morte di Cristo. Scrive Sant’Agostino: «La Chiesa ha ricevuto dagli antichi e conferma con la sua autorità la tradizione secondo la quale si crede che (Gesù) sia stato concepito il 25 marzo, che è anche il giorno della sua Passione». Secondo tale tradizione, ricca di molti significati, come nell’equinozio di primavera (25 marzo, ora 21 marzo) erano stati creati il mondo e l’uomo, così in quello stesso giorno il Signore si sarebbe incarnato dalla Vergine e sarebbe morto in croce.

Ma torniamo alla nostra foto. Proviamo a fare alcune considerazioni. Si tratta di un vero e proprio documento storico. Non doveva essere usuale, in quel tempo, scattare fotografie. Ciò è ancora più sorprendente se si pensa che ad essere fotografato sarebbe qualcosa di inanimato come “il sepolcro”. Dell’autore di questa foto, infatti, si conservano altri lavori, ma quella in questione sembra essere davvero un “unicum”. L’oggetto catturato dall’obiettivo è presto detto: tante candele, una selva, che nasconde in alto al centro l’urna ove è riposto il SS. Sacramento (secondo una foggia comune e ben diffusa a forma di “bara”), il tutto arricchito dai primi germogli della vegetazione primaverile (probabilmente grano). Ai piedi dell’altare giace un elegante simulacro del Cristo morto.

Ai lati della foto, in primo piano, una folla di uomini (a sinistra verosimilmente il sacrista, che tiene in mano la canna con cui ha appena finito di accendere le tante candele), donne e bambini, con la faccia segnata dal lavoro, in abiti umili. Sembra stridere il contrasto tra quella realtà contadina e povera, con la ricchezza dell’allestimento.

Eppure, in questi pochi centimetri è immortalata la fede pasquale di quella gente. In quegli occhi luminosi e segnati dalla fatica, sembra di scorgere un pensiero di questo tipo: “non possiamo rinunciare alla nostra fede; perché la nostra fede ci salva”.  La sontuosità di quell’altare non fa scandalo ai presenti, come invece accadrebbe per certa mentalità odierna, secolarizzata. Non è difficile immaginare il lavoro e i sacrifici fatti per allestire con tanta cura e bellezza quell’altare. Certamente un’opera collettiva di cui quei fedeli appaiono molto orgogliosi. Da quell’altare che commemora la morte del Signore, promana speranza di vita.

In fondo, in quegli occhi c’è lo stesso spirito di fede che nei secoli ha consentito di innalzare monumenti e capolavori di bellezza. Perché la bellezza dice la fede, e la fede salva il mondo. Tante volte, quando manca la bellezza, è probabile che manchi anche la fede…

Da Benedetto a Francesco: diversi e amati nella continuità della riforma…!

Lo Spirito di Cristo guida la Chiesa. Solo una lettura di fede può aiutare a comprendere i fatti che stiamo vivendo in questi giorni. I Papi sono segno della presenza straordinaria del Signore nella Chiesa. Ciascuno con la sua storia, il suo carattere e il suo modo di essere. A ciascuno è affidato un compito. Nella Chiesa c’è continuità. Continuità di riforma. Non riforma della fede. Non possiamo accettare, pertanto, letture semplicistiche e approssimative della nostra storia ecclesiale.

di Alessandro Scaccianoce

In meno di venti giorni la Chiesa Cattolica è passata dall’esperienza della Sede Vacante al Conclave, dallo smarrimento per la rinuncia di Papa Benedetto  all’entusiasmo per la nomina di Papa Francesco. Ci sembra utile, a questo punto, fare qualche riflessione sul susseguirsi di tali eventi che hanno occupato l’interesse di credenti e non, oltre che di osservatori di tutto il mondo.

Vi è un’unica certezza che può aiutarci a comprendere quanto accaduto e a leggere il succedersi degli eventi: Cristo guida la sua Chiesa!! E’ il Signore che conduce il suo corpo mistico nella storia. Nessun altro. Non ci sono calcoli umani o interessi di parte che reggano di fronte a simile fatto. La storia della Chiesa non è semplicemente la somma delle singole azioni individuali. La sua storia, la sua direzione, trascende l’operato degli uomini.

sinodo7Abbiamo sentito e letto commenti di ogni tipo in questi giorni. Tutto il mondo si è “occupato” di dire la sua sulla Chiesa Cattolica. Non solo opinioni, ma soprattutto giudizi, spesso sprezzanti, irrispettosi e irriguardosi della realtà soprannaturale che è la Chiesa. Perché non è possibile interpretare la Chiesa con le categorie umane. Tanto meno con le categorie della politica. Si sono immaginate lotte fratricide in Conclave tra i cardinali, cordate di potere, accordi sottobanco, fazioni di destra e di sinistra. I migliori osservatori pronosticavano un Conclave lungo e difficile. In realtà, dopo il quinto scrutinio, è stato eletto il 266° successore di Pietro con una stragrande maggioranza di ben oltre i due terzi, come ha lasciato intendere anche Papa Francesco.

Con gioia abbiamo potuto sperimentare che il nuovo Papa argentino ha riscosso da subito una grande “simpatia mediatica”. Giornali e giornalisti tradizionalmente ostili alla Chiesa Cattolica hanno cominciato a tesserne lodi sperticate, inneggiando – finalmente? – alla rottura e alla discontinuità. Soprattutto rispetto al predecessore. Quegli stessi giornali e giornalisti che, il 20 aprile 2005, all’indomani dell’elezione di Benedetto XVI, avevano scritto aspre critiche e commenti al limite dell’ingiuria riferiti al nuovo Papa.

Ogni gesto, ogni azione di Papa Francesco è stato letto e continuamente24286_499147143477098_1432050047_n interpretato come segno di questa rottura: “Papa Francesco ha chiesto di  pregare per sé”; “Papa Francesco non veste le scarpe di Prada”; “Papa Francesco vuole una Chiesa povera”; “Papa Francesco ha rinunciato agli orpelli”… In ciascuno di questi commenti è stato evidente il riferimento, neanche troppo velato, al vivente predecessore Benedetto. Uno dei maggiori giornali italiani ha titolato parlando della nascita di una “nuova chiesa”!

Da cattolici, fedeli al Papa, riteniamo di dover dire la nostra rispetto a questo entusiasmo laico che, più che animato da benevolenza verso Papa Francesco, sembra piuttosto ispirato da una carica ostile verso Papa Benedetto. Specialmente – e questo ci ferisce non poco – quando questi giudizi sommari sono giunti da persone credenti che da cronisti e commentatori si sono autoproclamati censori.

Ai laici entusiasti vogliamo poter dire (e ricordare ai cattolici censori) che nella Chiesa c’è continuità. Perché la Chiesa è del Signore. Il Papa di turno non annuncia nient’altro che Cristo. Il Vescovo di Roma non è assolutamente paragonabile ad un qualunque Capo di Stato che può decidere il proprio programma di governo in una direzione o in un’altra. Il “personalismo” nella Chiesa arriva fino ad un certo punto.  I ministri non rappresentano se stessi; sono emanazione del Signore e a lui rinviano.

Il programma della Chiesa l’ha dato Cristo a Pietro:  “Conferma i tuoi fratelli nella fede”, e a tutti gli Apostoli con lui: “Andate in tutto il mondo e fate discepoli tutti gli uomini, battezzandoli nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo”.

Pietro deve confermare la fede. E la fede è quella della Chiesa, definita e sancita nei secoli, racchiusa nel Simbolo. Compito del Papa non è accrescere il proprio consenso personale, a differenza che per qualunque uomo politico, ma essere trasparenza del Pastore eterno delle anime. Il Papa non ha il compito o la preoccupazione di legare la gente a sé. La scelta di fede (nell’anno della Fede giova ribadirlo), infatti, è adesione a Cristo, alla sua persona e alla sua verità. Il Papa può aiutare e sostenere tale scelta, ma non è ultimamente decisivo. In altri termini: chi crede non crede “per” il Papa o “nel” Papa, ma “con” il Papa.

Ovviamente ciascun uomo chiamato dallo Spirito a tale alto compito di guidare e reggere la barca del Signore agisce anche con tutto il suo patrimonio umano, portato delle sue esperienze e delle sua cultura. Ad esempio, Papa Francesco si caratterizza per la sua comunicabilità tutta latinoamericana, per uno stile immediato e informale, che è proprio di una cultura calda e amabile, come quella argentina. Ma lo stupore e la grata meraviglia per i suoi gesti non possono diventare sconfessione pubblica di un altro Santo Padre, che ci ha guidato negli scorsi 8 anni con mitezza e con profondissima sapienza. Anche lui ben consapevole che la Chiesa è di Cristo. Non coglie nel segno chi vorrebbe immaginare l’uno-contro-l’altro, magari in termini di Papa-antiPapa.

Chi si era affrettato a dipingere Papa Benedetto XVI come un “conservatore” dovette ricredersi davanti a tante scelte di innovazione del suo Pontificato, al suo dialogo schietto e sincero col mondo contemporaneo. D’altro canto, chi vorrebbe dipingere Papa Francesco come un “progressista” non coglierebbe nel segno, dimenticando che la dottrina della Chiesa non è a disposizione dei Papi. E il card. Bergoglio ha ampiamente dimostrato di essere uomo di misericordia, ma anche di verità…

Ci chiediamo: tanto entusiasmo del mondo laico e laicizzato per il nuovo Papa vorrà dire una conversione di massa a Cristo e al suo vangelo? Ce lo auguriamo. Purché non voglia essere, invece, un modo per voler dettare dall’esterno il contenuto stesso della fede cristiana. Capita spesso di sentire questo ritornello, che è stato ripetuto anche in questi giorni: “Occorre una Chiesa al passo coi tempi, rinnovata”. La Chiesa, sappiamo, è “semper reformanda”, ma ha contenuto essenziale che è “indisponibile”.

Anche tanta insistenza sulla “benvenuta e auspicata povertà”, anche nei riti, non può trascurare che la Chiesa ben distingue la povertà personale dal pauperismo, che è la povertà ostentata. Fior di Papi e di Santi hanno sempre coltivato uno stile sobrio, curando la carità nel segreto. Questo non contraddice allo splendore della liturgia. Perché nella liturgia – azione sacra per eccellenza (secondo la definizione concilare della Sacrosanctum Concilium) è racchiuso tutto il bene della Chiesa. Perciò non possiamo accettare che il mondo laico dia indicazioni approssimative sulle “cerimonie sacre” che si vorrebbero “semplificate”. Anche perché – come  insegna proprio San Francesco – la povertà si ferma ai piedi dell’altare: nella liturgia risplende il bello del vero. Perciò la Chiesa non può fare a meno della bellezza, come veicolo della verità. Non può essere altrimenti. Ce lo hanno insegnato i santi più amati di ogni tempo: San Francesco d’Assisi, San Giovanni Maria Vianney, la Beata Teresa di Calcutta.

Certi cattolici censori dovrebbero ricordare queste cose, allorché si trovano davanti ad un microfono…

D’altra parte, chi ha un po’ di buon senso, capisce che un copricapo, un candelabro o un calice, frutto di donazioni personali, manifestazioni di fede, ricchi di simbologia, non risolvono il problema della povertà nel mondo.

Ciò detto, lo ribadiamo: nella Chiesa c’è continuità, anzi c’è “continuità nella riforma”, come ebbe a dire Papa Benedetto nel discorso alla curia del dicembre 2005, a proposito dell’interpretazione del Concilio. Perciò non stupisce che per Papa Francesco il primo pensiero sia stato per il suo “venerato predecessore” e che Papa Benedetto all’atto della rinuncia ebbe a dichiarare la sua “incondizionata riverenza e obbedienza” al suo successore.

La Chiesa è di Cristo! Anche se cammina sulle gambe degli uomini. Egli la guida con il suo Spirito. E lo Spirito suscita all’occorrenza gli uomini necessari perché diano il loro proprio contributo in un particolare momento storico… Proprio quando tutti i media si affrettavano a dipingere le immoralità e le nefandezze degli uomini di Chiesa, abbiamo avuto la conferma (e la riprova) che nella Chiesa esiste (ancora!) la Santità! Lo abbiamo potuto vedere scorrendo le biografie dei tanti “papabili” che venivano prospettati…

Non possiamo in questo breve contributo analizzare i molti meriti del pontificato di Papa Benedetto, che solo la storia e il tempo ci aiuteranno a comprendere. Ma sappiamo nel nostro cuore il tanto bene che egli ha seminato, richiamando gli uomini del nostro tempo alla verità e alla libertà, con la profondità della sua parola e del suo magistero, con il suo esempio, con la sua azione mite e obbediente, fino alla rinuncia al governo. Gli siamo e restiamo grati, sapendo che la sua azione, come anche la sua rinuncia – lo abbiamo sempre sostenuto – sono frutto dell’azione del Signore. Ed è grazie a lui che oggi possiamo acclamare con gioia Papa Francesco. Diverso per temperamento e per carattere. Ma in continuità nell’essenziale annuncio del Vangelo. Appunto: DIVERSI E AMATI, perché sempre relativi a Cristo!

Pertanto, nella solennità di San Giuseppe, Patrono della Chiesa universale, mentre con sincero affetto rivolgiamo il nostro pensiero al Papa emerito, nel giorno del suo onomastico, riaffermiamo con forza il nostro amore alla Chiesa, e  con  i tanti uomini e donne che in questi giorni hanno affollato piazza San Pietro, gridiamo con gioia:

W i Papi… W il Papa!!!!

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