Papa Francesco: la bellezza di Cristo risplende nella liturgia
Nel primo mese del suo pontificato il Santo Padre ha offerto preziosi spunti di riflessione su temi come l’arte sacra e la liturgia. In continuità con i suoi predecessori…
di Rodolfo Papa
La bellezza, l’arte sacra e la liturgia sono stati argomenti particolarmente curati e approfonditi da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. In continuità con il loro insegnamento, papa Francesco ha offerto spunti preziosi di riflessione su questi temi.
Nel Discorso del 16 marzo, in occasione della Udienza ai rappresentanti dei media, papa Francesco ha menzionato, per tre volte, la triade Verità, Bontà, Bellezza, con chiaro riferimento a quella tradizione di pensiero che vede nella verità, nella bontà e nella bellezza gli attributi trascendentali dell’essere, cioè le caratteristiche proprie di tutto ciò che è in quanto è, a motivo del fatto che Verità, Bontà e Bellezza sono perfezioni di Dio. Papa Francesco ha detto: «voi avete la capacità di raccogliere ed esprimere le attese e le esigenze del nostro tempo, di offrire gli elementi per una lettura della realtà. Il vostro lavoro necessita di studio, di sensibilità, di esperienza, come tante altre professioni, ma comporta una particolare attenzione nei confronti della verità, della bontà e della bellezza; e questo ci rende particolarmente vicini, perché la Chiesa esiste per comunicare proprio questo: la Verità, la Bontà e la Bellezza “in persona”. Dovrebbe apparire chiaramente che siamo chiamati tutti non a comunicare noi stessi, ma questa triade esistenziale che conformano verità, bontà e bellezza».
Dunque verità, bontà e bellezza sono elementi fondamentali “per una lettura della realtà” e sono implicati in modo speciale nel lavoro di chi opera nella comunicazione. Proprio questa attenzione verso la verità, la bontà e la bellezza della realtà rende più vicini alla Chiesa, la cui missione è comunicare la Verità, la Bontà e la Bellezza “in persona”, ovvero Dio, Gesù Cristo. Inoltre viene sottolineato con forza che l’oggetto della comunicazione, di ogni comunicazione, non dovrebbe essere lo stesso soggetto emittente, ma proprio la verità, la bontà e la bellezza, definite “triade esistenziale”.
Si delineano tre livelli: al centro, vetta e significato di tutto, la Verità, la Bontà e la Bellezza divine, poi derivate e partecipate la verità, la bontà e la bellezza della realtà creata, e infine la verità, la bontà e la bellezza vissute esistenzialmente. Dunque c’è una partecipazione della Bellezza divina alla realtà e all’esistenza, e quindi la bellezza diventa anche fine della comunicazione. La missione di ogni comunicazione è proclamare la verità, la bontà e la bellezza, la missione della comunicazione della Chiesa è annunciare la Verità, la Bontà e la Bellezza di Gesù Cristo.
La triade verità, bontà e bellezza torna ancora nel Discorso del 20 marzo ai rappresentanti delle Chiese, delle comunità ecclesiali e delle altre religioni: «Sappiamo quanta violenza abbia prodotto nella storia recente il tentativo di eliminare Dio e il divino dall’orizzonte dell’umanità, e avvertiamo il valore di testimoniare nelle nostre società l’originaria apertura alla trascendenza che è insita nel cuore dell’uomo. In ciò, sentiamo vicini anche tutti quegli uomini e donne che, pur non riconoscendosi appartenenti ad alcuna tradizione religiosa, si sentono tuttavia in ricerca della verità, della bontà e della bellezza,questa verità, bontà e bellezza di Dio, e che sono nostri preziosi alleati nell’impegno a difesa della dignità dell’uomo, nella costruzione di una convivenza pacifica fra i popoli e nel custodire con cura il creato».
Viene sottolineata la tragedia del tentativo di eliminare Dio dalle società, tentativo che è violento e innaturale perché in ogni uomo alberga “una originaria apertura alla trascendenza”, che si manifesta proprio come esigenza di verità, bontà e bellezza. Ogni tentativo di ricerca della verità, della bontà e della bellezza nel creato, conduce alla Verità, alla Bontà e alla Bellezza che sono del Creatore. E proprio questa triade è il cuore della difesa e della custodia del creato. Potremmo dire che verità, bontà, bellezza sono la grammatica di quel “disegno di Dio iscritto nella natura”, di cui Papa Francesco ha chiaramente parlato nella Omelia del 19 marzo: «La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi». La bellezza del creato è un bene da custodire: «In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio! E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna».
Si comprende bene allora la consistenza della povertà spirituale che si esprime nella dittatura del relativismo e nell’egocentrismo, in quanto la povertà spirituale è assenza di verità: «Ma c’è anche un’altra povertà! È la povertà spirituale dei nostri giorni, che riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi. È quanto il mio Predecessore, il caro e venerato Benedetto XVI, chiama la “dittatura del relativismo”, che lascia ognuno come misura di se stesso e mette in pericolo la convivenza tra gli uomini. E così giungo ad una seconda ragione del mio nome. Francesco d’Assisi ci dice: lavorate per edificare la pace! Ma non vi è vera pace senza verità! Non vi può essere pace vera se ciascuno è la misura di se stesso, se ciascuno può rivendicare sempre e solo il proprio diritto, senza curarsi allo stesso tempo del bene degli altri, di tutti, a partire dalla natura che accomuna ogni essere umano su questa terra». Dunque di contro al soggetto che è misura di se stesso e che è dunque incapace di convivere con gli altri, sta la custodia della verità, capace di costruire la vera pace. La possibilità di pace e di convivenza si fonda sulla verità e sulla natura comune di ogni essere umano.
Si delinea dunque un orizzonte unitario in cui la verità, la bellezza e il bene sono gli elementi di cui è costruito il creato e sono anche gli strumenti per custodirlo.
Papa Francesco ha anche dedicato delle parole importanti alla bellezza della liturgia. In modo speciale si è soffermato sul significato delle vesti sacre e del loro simbolismo durante l’omelia della Santa Messa del Crisma: «Le vesti sacre del Sommo Sacerdote sono ricche di simbolismi; uno di essi è quello dei nomi dei figli di Israele impressi sopra le pietre di onice che adornavano le spalle dell’efod dal quale proviene la nostra attuale casula: sei sopra la pietra della spalla destra e sei sopra quella della spalla sinistra (cfr Es 28, 6-14). Anche nel pettorale erano incisi i nomi delle dodici tribù d’Israele (cfr Es 28,21). Ciò significa che il sacerdote celebra caricandosi sulle spalle il popolo a lui affidato e portando i suoi nomi incisi nel cuore. Quando ci rivestiamo con la nostra umile casula può farci bene sentire sopra le spalle e nel cuore il peso e il volto del nostro popolo fedele, dei nostri santi e dei nostri martiri, che in questo tempo sono tanti!». La bellezza della liturgia sta dunque nel significato dei suoi simboli, significato che si è concretizzato nel tempo, è stato trasmesso nella tradizione, ed ancora è capace di parlare, di comunicare. La bellezza della liturgia sta nel saper dire il significato insieme al significante, e questo significato, espresso nella bellezza di quanto è liturgico (paramenti, segni, gesti, parole, immagini …) è la gloria di Dio, la presenza della gloria di Dio. Prosegue, infatti, Papa Francesco: la «bellezza di quanto è liturgico, non è semplice ornamento e gusto per i drappi, bensì presenza della gloria del nostro Dio che risplende nel suo popolo vivo e confortato». Questa bellezza deve diventare azione, così come l’unzione dell’olio santo deve raggiungere le “periferie”: «L’olio prezioso che unge il capo di Aronne non si limita a profumare la sua persona, ma si sparge e raggiunge “le periferie”. Il Signore lo dirà chiaramente: la sua unzione è per i poveri, per i prigionieri, per i malati e per quelli che sono tristi e soli. L’unzione, cari fratelli, non è per profumare noi stessi e tanto meno perché la conserviamo in un’ampolla, perché l’olio diventerebbe rancido … e il cuore amaro». Papa Francesco sottolinea ancora come la vera bellezza sia quella di Gesù, che incarna la bellezza delle vesti sacerdotali di Aronne: «Questo momento di Gesù, in mezzo alla gente che lo circondava da tutti i lati, incarna tutta la bellezza di Aronne rivestito sacerdotalmente e con l’olio che scende sulle sue vesti». Ma la vera bellezza richiede occhi pieni di fede per essere vista: «È una bellezza nascosta che risplende solo per quegli occhi pieni di fede della donna che soffriva perdite di sangue». È come se papa Francesco affermasse che per vedere la gloria di Dio nella bellezza della liturgia, per vedere Gesù Cristo nelle vesti sacerdotali, occorrano gli occhi della Fede.
Gesù Cristo è il centro di ogni bellezza, è tutta la bellezza, e di conseguenza ogni espressione artistica dovrebbe confessare Gesù Cristo. Ricordiamo infine la bellissima prima Omelia di Papa Francesco: «Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore. Quando non si cammina, ci si ferma. Quando non si edifica sulle pietre cosa succede? Succede quello che succede ai bambini sulla spiaggia quando fanno dei palazzi di sabbia, tutto viene giù, è senza consistenza. Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene la frase di Léon Bloy: “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio».
Apprensione per la salute di Papa Benedetto
Negli ultimi giorni diversi giornali si sono interessati alla salute di Papa Benedetto, ipotizzando una malattia grave a suo carico. In realtà le condizioni di salute erano già precarie da tempo e si erano pesantemente aggravate negli ultimi mesi. Ancora una conferma che il Papa ha lasciato il governo della Chiesa per nessun altro motivo che per “il venire meno delle forze”.
Redazione SME
Lo abbiamo visto fortemente dimagrito e con accentuati problemi di deambulazione, nell’ultima sua apparizione mediatica in occasione dello storico incontro dei “due Papi” del 23 marzo scorso a Castel Gandolfo. Da allora su molti giornali si è cominciato a scrivere delle precarie condizioni di saluto del Pontefice emerito.
In realtà, che la situazione non fosse rosea era ben noto da tempo. L’efficienza fisica era stata pesantemente compromessa da un ictus del ’92; poi durante gli anni del pontificato i bypass al cuore, i problemi legati agli sbalzi fortissimi di pressione, l’insonnia con la relativa difficoltà di riposare adeguatamente (è caduto più volte dal letto), la vista (dall’occhio sinistro non vede quasi più), la deambulazione sempre più ridotta per il male all’anca e al ginocchio destro, e una stanchezza cronica che lo avevano reso sempre più inadatto alla mole di lavoro. Come aveva rivelato anche il Dott. Patrizio Polisca, medico personale del Sommo Pontefice.
Tuttavia, sembra che i giornali solo adesso si siano accorti di un Benedetto emaciato e debilitato. Cosa c’è di vero in quanto è stato scritto in questi giorni? Nessuna malattia specifica, come ha precisato l’arcivescovo Georg Gaenswein, già segretario personale di Papa Benedetto. C’è stato sicuramente un ulteriore decadimento fisico nelle ultime settimane, ma questo è legato essenzialmente all’età e alle conseguenze di chi è dovuto passare attraverso un periodo molto travagliato, gestendo situazioni anche emotivamente difficili, come uno storico ritiro dal ministero petrino. «Benedetto XVI non ha nessuna malattia specifica e i suoi problemi di salute sono quelli legati all’età», ha evidenziato Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana. Nessuna necessità immediata di ricovero, quindi, e, come previsto, il prossimo mese è programmato il ritorno in Vaticano nel monastero allestito per lui nei giardini vaticani.
Secondo quanto comunica Vatican Insider, anche papa Francesco si tiene informato sulle condizioni del predecessore. La stessa fonte rivela che Papa Francesco continua a dar prova di grande considerazione per il suo predecessore mentre si appresta a mutare i vertici ecclesiastici e in particolare la figura chiave del Segretario di Stato, che dovrebbe essere un italiano. Per questo ruolo pare che sarebbe figura gradita da Benedetto XVI il cardinale Fernando Filoni, attuale prefetto del dicastero di Propaganda Fide, e prima di allora (dal giugno 2007 al maggio 2011) sostituto per gli Affari generali proprio in Segreteria di Stato. Secondo quanto scrive il vaticanista G. Galeazzi “Questa preferenza è stata espressa dal Papa emerito anche durante lo storico incontro avuto col nuovo Pontefice sabato 23 marzo nella residenza di Castel Gandolfo. Filoni, 67 anni, vanta tra l’altro un’esperienza internazionale di primo piano, anche in situazioni irte di difficoltà, essendo stato nunzio apostolico in Iraq mentre infuriava la guerra e poi nelle Filippine. Occorrerà vedere se Bergoglio terrà conto di questa preferenza del suo predecessore, il quale nell’incontro a Castel Gandolfo, come si è potuto vedere nelle immagini, gli ha consegnato anche un consistente pacco di documenti e due buste sigillate, evidentemente riguardanti il ministero pontificio. Ed è stato Bergoglio stesso a volere che fosse ritratto lo scatolone sul tavolo: segno dell’avvenuto passaggio delle consegne tra i due pontefici. Insomma la parola di Ratzinger ha un grande peso per Francesco. E la salute del predecessore tiene in apprensione anche lui”.
Accompagniamo con la preghiera l’amato Papa Benedetto, in “questo ultimo tratto della sua vita terrena”, come ha chiesto lui stesso a Castel Gandolfo il 28 febbraio scorso accomiatandosi dai fedeli.
Anche in politica si può guardare all’altro come un bene…
A quasi due mesi dalle elezioni l’Itaila non ha ancora un governo, ma vive uno stallo istituzionale, senza prospettive concrete per il futuro. Può l’esperienza cristiana essere lievito anche in questa circostanza per superare barriere e steccati di partito? La risposta è in questa bellissima riflessione del Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, pubblicata oggi su Repubblica. Se la politica continua a dividere, la Chiesa insegna che l’unità è possibile.
di Don Julian Carron
Caro direttore, cercando di vivere la Pasqua nel contesto degli ultimi eventi accaduti nella Chiesa – dalla rinuncia di Benedetto XVI all’irruzione di papa Francesco -, non ho potuto evitare di pensare alla drammatica situazione in cui versa l’Italia per la difficoltà di uscire dalla paralisi che si è venuta a creare. Si è scritto molto su questo da parte di persone ben più autorevoli di me per le loro competenze in politica. Non ho alcuna soluzione strategica da suggerire. Mi permetto solo di offrire qualche pensiero, nel tentativo di collaborare al bene di una nazione alla quale mi sento ormai legato per tanti motivi.
Mi pare che la situazione di stallo sia il risultato di una percezione dell’avversario politico come un nemico, la cui influenza deve essere neutralizzata o perlomeno ridotta al minimo. Abbiamo nella storia europea del secolo scorso documentazione sufficiente di analoghi tentativi da parte delle differenti ideologie di eliminarsi a vicenda, che hanno portato alle immani sofferenze di intere popolazioni. Ma l’esito di questi sforzi ha portato a una constatazione palese: è impossibile ridurre a zero l’altro. È stata questa evidenza, insieme al desiderio dì pace che nessuno può cancellare dal cuore di ogni uomo, che ha suggerito i primi passi di quel miracolo che si chiama Europa unita. Che cosa permise ai padri dell’Europa di trovare la disponibilità a parlarsi, a costruire qualcosa insieme, perfino dopo la seconda guerra mondiale? La consapevolezza della impossibilità di eliminare l’avversario li rese meno presuntuosi,meno impermeabili al dialogo, coscienti del proprio bisogno; si cominciò a dare spazio alla possibilità di percepire l’altro, nella sua diversità, come una risorsa, un bene. Ora, dico pensando al presente, se non trova posto in noi l’esperienza elementare che l’altro è un bene, non un ostacolo, per la pienezza del nostro io, nella politica come nei rapporti umani e sociali, sarà difficile uscire dalla situazione in cui ci troviamo. Riconoscere l’altro è la vera vittoria per ciascuno e per tutti. I primi ad essere chiamati a percorrere questa strada, come è accaduto nel passato, sono proprio i politici cattolici, qualunque sia il partito in cui militano. Ma anche essi, purtroppo, tante volte appaiono più definiti dagli schieramenti partitici che dall’ autocoscienza della loro esperienza ecclesiale e dal desiderio del bene comune. Eppure, proprio la loro esperienza di essere «membri gli uni degli altri» (san Paolo) consentirebbe uno sguardo sull’altro come parte della definizione di sé e quindi come un bene. In tanti questi giorni hanno guardato la Chiesa e si sono sorpresi di come si sia resa disponibile a cambiare per rispondere meglio alle sfide del presente. In primo luogo, abbiamo visto un Papa che, al culmine del suo potere, ha compiuto un gesto assolutamente inedito di libertà – che ha stupito tutti – affinché un altro con più energie potesse guidare la Chiesa. Possiamo stati testimoni dell’ arrivo di Papa Francesco, che dal primo istante ci ha sorpreso con gesti di una semplicità disarmante, capaci di raggiungere il cuore di chiunque.
Negli ultimi anni la Chiesa è stata colpita da non poche vicende, a cominciare dallo scandalo della pedofilia; sembrava allo sbando, eppure anche nell’affrontare queste difficoltà è apparsa la sua diversità affascinante.
In che modo la vita della Chiesa può contribuire a misurarsi con l’attuale situazione italiana? Non credo intervenendo nell’agone politico come una delle tante parti e delle tante opinioni in competizione. Il contributo della Chiesa è molto più radicale. Se la consistenza di coloro che servono questa grande opera che è la politica è riposta solo nella politica, non c’è molto da sperare. In mancanza di un altro punto d’appoggio, si afferreranno per forza alla politica e al potere personale e, nel caso specifico, punteranno sullo scontro come unica possibilità di sopravvivenza. Mala politica non basta a se stessa. Mai come in questo momento risulta così evidente.
Nella sua povertà di realtà piena di limiti, la Chiesa continua a offrire agli uomini, proprio in questi giorni, l’unico vero contributo, quello per cui essa esiste e Papa Francesco lo ricorda di continuo: l’annuncio e l’esperienza di Cristo risorto.
È Lui l’unico in grado di rispondere esaurientemente alle attese del cuore dell’uomo, fino al punto di rendere un Papa libero di rinunciare per il bene del suo popolo.
Senza una reale esperienza di positività, in grado di abbracciare tutto e tutti,non è possibile ripartire. Questa è la testimonianza che tutti i cristiani, a cominciare da chi è più impegnato in politica, sono chiamati a dare, insieme a ogni uomo di buona volontà, come contributo per sbloccare la situazione: affermare il valore dell’altro e il bene comune al di sopra di qualsiasi interesse partitico.