Sapeva ridere di tutto e di se stesso, perché aveva consapevolezza della precarietà umana. Un animo sempre curioso di indagare i contenuti della fede, in continua di ricerca di risposte alle grandi domande della vita.
Ha amato gli animali, ha vissuto in compagnia dei suoi cani, forse incompreso dagli uomini.
Lo ricordiamo con le sue stesse parole in questa intervista per il suo 50° anniversario di sacerdozio rilasciata per la rivista “SME-Madre di Misericordia”.
Padre Novello, ci racconta come nasce la sua vocazione?
È nata dopo essere entrato in Seminario! Da fanciullo il canonico Salvatore Patti mi portò al Piccolo Seminario di Biancavilla, nonostante le resistenze di mio padre. Dopo solo qualche tempo capii che il Signore mi voleva prete. Fui accolto al Seminario maggiore di Catania dal Rettore Mons. Carlo Vota e dal Prefetto degli studi mons. Antonino Distefano, nostro concittadino. Era molto rigoroso, e non sempre il rapporto con lui fu facile. L’8 dicembre 1954 ho indossato la veste talare. Era l’anno del centenario della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione. Un giorno in Seminario venne in visita un Missionario Saveriano, tale P. Bergamin, che divenne poi Vescovo in Indonesia. Mi colpì il suo modo schietto di parlare e di predicare. Nacque una bella intesa e lui stesso mi invitò a fare il missionario. Così, nel ‘59 emisi la professione temporanea dei voti e mi traferii a Piacenza per un tempo di preparazione agli studi. Nel ‘60 andai a Parma per studiare la Teologia. Qui il 28 ottobre 1962 ho ricevuto l’ordinazione presbiterale per le mani del Card. Richard James Cushing, Arcivescovo di Boston (USA), che si trovava in Italia per i lavori del Concilio Vaticano II.
Quando ha deciso di partire in missione?
Sapevo che, come missionario, dovevo andare ad annunciare il Vangelo in terre lontane. Tuttavia, ero titubante nel partire, soprattutto per la lingua. Andai da P. Pio a San Giovanni Rotondo. Il Frate con il suo tono austero e risoluto mi disse: “la imparerai la lingua!”. E io aggiunsi: “a me piacerebbe ma sono l’unico figlio maschio della famiglia..”. e lui: “Figlio mio, tutto tu vuoi?! Vai e vedrai che a suo tempo ritornerai!”. Così nel ’64 partì per il Brasile. Sono stato nella città di San Paolo, una delle città più grandi del mondo, e nel Paranà, uno degli stati del Brasile. In due mesi imparai la lingua che presto mi divenne confidenziale. Fui mandato ad evangelizzare il villaggio di Cafeara, rinomato per la produzione di caffè. La gente era profondamente credente, ma conosceva poco la Parola di Dio. Noi Missionari ci prodigammo per far conoscere il Vangelo e la dottrina cristiana in tutti i modi possibili. Proprio per raggiungere chi non aveva fede, fui mandato a lavorare come semplice operaio (nascondendo il mio sacerdozio) in una fabbrica metallurgica, per cercare di rendere la mia testimonianza cristiana tra i colleghi. Fui poi insegnante di religione nelle scuole e assistente giovanile degli scout nonché Vice-rettore del Seminario Arcivescovile di S. Paolo. Dopo questo periodo, d’intesa con il Card. Angelo Rossi, prefetto di propaganda fide, decisi il mio rientro nella diocesi di Catania.
Quale ricordo conserva di quegli anni e di quella gente?
Una fede genuina, semplice ma robusta. Mi sono reso conto che presso quelle popolazioni è più facile annunciare il vangelo di quanto non sia qui in Europa. Qui abbiamo molti pregiudizi che ci ostacolano a fidarci del Signore.
Al suo rientro in Diocesi, dopo 5 anni, ha lavorato per 10 anni con il prevosto Giosuè Calaciura, negli anni del dopo Concilio. Fu davvero un nuovo inizio?
Qualcuno aveva inteso il Concilio come una rottura con la secolare Tradizione della Chiesa Cattolica. Uno dei segni più evidenti di questo atteggiamento fu l’abbandono della veste talare da parte dei preti. Ricordo un episodio. Un giorno viaggiavamo in treno con P. Calaciura per la Francia. Dopo aver lasciato Catania ci siamo tolti la veste per una maggiore comodità e per “livellarci” a tanto clero che iniziava a svestire l’abito, , tanto credevamo che non ci avrebbe notato nessuno… Alla stazione di Acireale P. Calaciura si affacciò dal finestrino per una boccata d’aria. Quando sentì un urlo: “P. Calaciura….?!” Era Puddu “Cimicia” il sacrestano della Matrice, che non so come fosse capitato ad Acireale! Ci vergognammo molto per essere stati visti senza la veste. Ora è diventato quasi normale non indossare più la talare. Bisogna dire, comunque, che il Concilio è stata una gran bella cosa, una ventata di freschezza per la Chiesa, purché inteso in modo corretto, in sintonia con la grande Tradizione della Chiesa, come insegna Papa Benedetto.
E poi?
Nell’80 Mons. Domenico Picchinenna mi destinò come Parroco alla Matrice di Ragalna, dove sono rimasto fino al ’90. Da allora sono d’aiuto in Basilica come Canonico della Collegiata e Vicario parrocchiale e curo la Rettoria di Sant’Antonio.
Cosa si sente di dire per questi 50 anni di sacerdozio?
Il tempo è volato! La vocazione viene da Dio ed è un dono grandissimo. Come dice la Scrittura: “nessuno può attribuire a se stesso questo onore se non è chiamato da Dio” (Eb 5,4).
Vorrebbe ritornare in missione?
Ci tornerei volentieri!
Infine, un accenno alla sua passione per la pittura, l’ironia, il cinema, gli animali…
Beh, da piccolo mi piaceva dipingere l’immagine della Madonna dell’Elemosina di cui conservo ancora alcune riproduzioni. L’ironia l’ho ereditata da mio padre, fenomenale raccontatore di barzellette e storielle simpatiche. Anche il cinema da sempre mi ha appassionato sin da quando, da piccolo, mi costruivo un proiettore… negli anni poi ho scoperto una grande passione per gli animali. D’altronde la Scrittura dice: “La tua tenerezza si espande su tutte le creature” (Salmo 144).