Riflessioni sulle feste patronali, tra memoria grata e speranza affidabile.
di Alessandro Scaccianoce
“C’è un tempo per nascere e un tempo per morire… Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare” (cfr Qo 3,1-15).
Una delle pagine più intense della Bibbia ci dà l’occasione per introdurci al tema delle prossime festività patronali che celebreremo a Biancavilla, come da tradizione, nella prima decade di ottobre.
Il primo colpo di cannone esploso il mattino del primo giorno del mese inaugura il tempo dell’annuale festa dei biancavillesi. Entrare nel tempo della festa vuol dire fare spazio agli amici e ai parenti che si vedranno e si ritroveranno in casa o per strada, lasciando da parte il ritmo ordinario della vita. La festa interrompe la quotidianità, ci “distrae” dalle nostre occupazioni e dai soliti nostri pensieri, ci richiama all’apertura strutturale agli altri, alla trascendenza, all’Altro. Il tempo della festa è un tempo innanzitutto per l’uomo, per se stesso, perché possa riscoprire le ragioni della sua esistenza, ritrovare i legami con gli altri, ricordare il fondamento primo e la destinazione ultima del suo vivere. Il contenuto di ogni festa, infatti, è contemporaneamente memoria e attesa: ci richiama al passato e ci proietta nel futuro. Se nella nostra quotidianità ci ritroviamo a fare esperienza di un tempo che ci sfugge, nella festa abbiamo l’occasione per riprendere l’orientamento del nostro tempo personale e comunitario (da dove veniamo e dove andiamo). Solo l’uomo, infatti, è capace di porre il problema del tempo, perché esso stesso è memoria e apertura al futuro. Il tempo della festa è il momento per fare sintesi, per ricongiungersi al proprio passato, riappropriandosene, e poter guardare al futuro con speranza. Altrimenti, perché facciamo festa? Un riposo che non è in grado di elevare lo spirito è deprimente, diventa noia, annichilisce o deprava. Sin dalle prime pagine della Bibbia troviamo il fondamento del tempo che, scandito dal lavoro della creazione, culmina nel giorno del riposo di Dio e dell’uomo (Gn 2,2). Anche Gesù ribadisce l’importanza della festa, come tempo per ritrovarsi: “Il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato” (Mc 2,23).
Queste brevi riflessioni ci danno l’occasione per dire che, nonostante le tante cose a cui abbiamo da pensare, il lavoro, le faccende, i problemi della vita di tutti i giorni – anzi, forse proprio per questo! – non possiamo rinunciare alla festa. Senza scomodare il binomio “panem et circenses” di liceale memoria, possiamo comunque affermare che della festa l’uomo non può fare a meno.
La nostra festa – la festa di Biancavilla – scaturisce e ruota attorno a due date fondamentali: la memoria del martirio di San Placido, tradizionalmente celebrata il 5 ottobre, e l’anniversario dell’incoronazione della Madonna dell’Elemosina, il 3 ottobre 1948 (un evento di popolo che ha lasciato il segno nella nostra storia locale), a sua volta punto di arrivo di una tradizione che ha sempre celebrato il patrocinio della Madre misericordiosa il 4 ottobre di ogni anno. A ciò si è aggiunta, ormai da oltre un decennio, la memoria della testimonianza cristiana di San Zenone, primo patrono della comunità Greco-Albanese. Questa memoria, essenziale, segna e caratterizza il tempo della festa, facendolo diventa un “tempo sacro” (alla lettera “separato”), un tempo prezioso, diverso dal resto, perché attorno a questa memoria fondamentale la comunità di Biancavilla ritrova se stessa: innanzitutto riconoscendosi come comunità religiosa che nei suoi Santi Patroni riconosce l’origine di ciò che essa è oggi, facendone perciò motivo di gratitudine. La memoria grata di questi eventi, poi, nutre e sostiene la speranza per il futuro, per il domani che comincia il giorno dopo che si spengono le luminarie. Perché la protezione, la benevolenza e la misericordia di Dio, sperimentata in passato dai nostri antenati, ci consente di sperare in un Amore che è anche per noi.
Tempo per Dio ma anche tempo per l’uomo, si diceva. Allora si capisce bene come attorno alle manifestazioni religiose si collochino eventi collaterali che fanno della festa l’occasione di incontro: pranzi di famiglia e tra amici, manifestazioni musicali di piazza, passeggiate tra bancarelle e luna park. Anche questo è un tempo sacro! perché è il tempo che dedichiamo a noi stessi e agli altri.
Altro tema sarebbe quello di auspicare che da questi momenti scaturisca l’impegno etico per migliorare la nostra comunità, perché la festa rimanda necessariamente al lavoro ordinario. Ma l’argomento esula dagli intenti del presente articolo.
La definizione di “Ottobre Sacro”, che sinteticamente designa le celebrazioni patronali, esprime tutto questo. E ci dispone a vivere il tempo della festa come tempo per Dio, per noi, per gli altri.