Chi decide le regole in famiglia? Cosa significa che padre e madre siano autorevoli? I genitori hanno qualcosa da insegnare ai loro figli? Su questi temi interviene Costanza Miriano in questa riflessione. La regola è sempre la stessa: nessuno può dare ciò che non possiede.
di Costanza Miriano
A tutti noi capita di vedere bambini che contrattano le regole con i genitori, che decidono la meta delle vacanze familiari, e che per questo sono considerati “avanti” da genitori sempre più insicuri e fragili. “Sono più di venti anni che assistiamo a questo ribaltamento dei ruoli” dicono in coro i vari psicoesperti consultati.
Sulla foto siamo tutti d’accordo. È una fotografia, appunto. Ci si limita a un generico invito a riprendere autorevolezza, o a farsi aiutare da un esperto.
A me sembra che quello che sta succedendo sia semplicemente l’epilogo naturale di una cultura che ha eliminato il padre, incarnazione della regola (ridotto semplicemente a “genitore”, mai “padre”, quello che a volte deve anche saper battere i pugni sul tavolo), che ha incoraggiato in tutti i modi la dissoluzione della famiglia, luogo in cui le regole vengono condivise, compensate, bilanciate (se si passa da una casa all’altra di genitori separati ognuno fa come crede, e non è scontato che la linea sia la stessa), che ha tolto soprattutto di mezzo Dio, l’unico orizzonte alto e assoluto sul quale appoggiare le regole.
Colgo l’occasione per dire che non scriverò mai un libro sui figli, come da più parti mi invitano a fare, perché credo che avrò una vaga percezione del lavoro svolto solo sul letto di morte (e, ragazzi, che sia chiaro: io continuerò a farvi prediche anche dopo, quando avrete cinquanta anni, affacciandomi dalle nuvole quando vi pulirete il moccio con la manica della felpa, dal frigo quando mangerete fuori orario, dalla mensola dei fumetti per cercare di indurvi a leggere piuttosto un bel romanzone russo). Ho fatto un numero incalcolabile di errori educativi, e se pubblicassi un libro lo dovrei certo ritirare presto dal mercato quando un mio figlio venisse sospeso dalla scuola per avere cosparso di marmellata la maniglia della porta di scuola, o introdotto un lombrico nel panino del compagno di banco (la hybris di una madre che vuole insegnare alle altre verrebbe senza dubbio punita).
Rimane il discorso che i genitori di oggi vanno alla cieca con i figli perché vanno alla cieca anche con se stessi. Se si cerca, e sottolineo mille volte cerca, di guardare ai dieci comandamenti e al Vangelo e alla vita eterna come obiettivo è forse possibile sbagliare un po’ meno. È l’unica speranza di imbroccare la direzione giusta. Se si pensa che ogni opinione e posizione sulla faccia della terra abbiano diritto di cittadinanza, e che i figli vadano lasciati liberi di esprimere le proprie potenzialità, è più difficile mantenere la bussola nelle circa seicento volte al giorno che bisogna prendere microdecisioni con i figli. Se c’è una famiglia solida e unita, che, con tutte le magagne possibili, ce la mette tutta a fare del suo meglio, è ipotizzabile riuscire a fare qualcosa di decente.
Per questo raccomando invece, come antidoto, la lettura di Finché legge non vi separi, il libro dell’avvocato civilista (e non divorzista, si badi bene) Massimiliano Fiorin, che con precisione e competenza smaschera una cultura e un sistema giuridico che favoriscono e incoraggiano in ogni modo possibile il divorzio, diventato nella mentalità comune un diritto soggettivo di ciascuno dei coniugi. Io che sono di cuore debole ho faticato a leggere tutti quegli episodi reali raccontati, interessantissimi ma penosi. Continuavo a pensare a tutto il dolore che quelle persone si procuravano a vicenda, e procuravano ai loro bambini. Come facciamo a dire loro che i grandi siamo noi, se nemmeno riusciamo a stare accanto alla persona che dicevamo di amare, se non sappiamo superare la fatica, la difficoltà, le emozioni contrarie?