A chi ha praticato uno o più sport di squadra nella vita, sarà capitato qualche volta di sperimentare quel particolare stato di grazia nel quale, durante un tempo più o meno breve di gioco, si riesce a cogliere un senso pieno e spontaneo di comunione con i propri compagni, per cui l’azione ed il pensiero di ogni singolo componente è in perfetta armonia con quello degli altri e dell’intero gruppo, tanto che tale situazione si avvicina fortemente a poter essere descritta con le note parole dell’Apostolo: “erano un cuore solo ed un’anima sola” (Cfr. Atti 4,32).
Il medesimo affiatamento mi è capitato di sperimentarlo, in rari, preziosi momenti, anche nel rapporto coppia: quando ad esempio sorprendo la mia sposa mettere in atto gesti che sono in perfetta comunione d’intenti con la mia volontà, quasi che mi avesse letto nel pensiero e, con estrema naturalezza, mi avesse anticipato.
Mia moglie ed io siamo molto diversi, quasi opposti per molti aspetti del nostro carattere e temperamento, ma forse proprio per questo esser complementari abbiamo la splendida opportunità di vivere istanti di tale affiatamento da poterci paragonare più che ad una coppia, ad una vera e propria squadra, nella quale ognuno ricopre un ruolo essenziale all’altro.
Come quella volta che mi trovavo ricoverato con mio figlio in ospedale e dopo aver dato fondo a tutte le mie risorse ludiche per intrattenerlo durante gli interminabili tempi vuoti intercorrenti tra visite ed esami, lei giunse con tempistica cronometrica a darmi il cambio, quasi mi desse un wrestleriano “tag”, e, con una naturalezza tutta femminile, prese il bimbo e lo portò a rotolarsi nel prato antistante l’ospedale, lasciandomi “un’ora d’aria” per ritemprar le forze. L’ovvietà di questa sua iniziativa mi lasciò lì per lì piacevolmente basito, poiché a me, per la mia limitatezza, mai sarebbe venuto in mente di poter usufruire di uno spazio pur disponibile fuori dalle mura dell’angusta stanzetta.
In quella, come anche in altre occasioni, mi è capitato di notare come reciprocamente si riesca, per la propria specifica natura, a giungere laddove l’altro non può e viceversa, rendendo fattiva quella caratteristica, tutta cristiana, di essere “una sola carne”.
Quella “sola carne” che si manifesta, in prima istanza e tangibilmente, nella prole, ma che risulta esperibile anche e proprio in quella complementarità complice di chi s’intende ad un solo sguardo, anzi, a volte senza nemmeno la necessità di un’intesa, ma con un automatismo muto e naturale che rasenta la telepatia. Come un anticipare il desiderio dell’altro, appunto, e senza sforzo alcuno, ma come se la volontà del coniuge fosse la propria, e viceversa.
Ed anche oltre: una comunione che si estende nell’essere vero e proprio prolungamento fisico, addirittura anatomico, del consorte nell’arrivare, con le proprie peculiarità, a presiedere di ruolo in quelle situazioni nelle quali all’altro, per natura, carattere o temperamento, risulta preclusa ogni via, lasciandolo stupito a godere di quel talento che anch’egli, pur non possedendolo in sé, tuttavia condivide, nel suo svolgimento e nei benefici effetti che ne scaturiscono, in maniera così profonda da parere proprio.
Se però nella pratica una simulazione di questa sincronia sia raggiungibile con il mero esercizio ed un’organizzata divisione dei compiti e dei ruoli, nel suo senso più profondo, e ben più che nelle sole conseguenze dei gesti, tale intesa è possibile solo a condizione che vi sia un’affinità elettiva, potremmo dire “vocata”, tra due anime, la quale supera di gran lunga la semplice “coordinazione”, e che (salvo casi più unici che rari in cui è subitanea) per la coppia, in genere, nasce da un’intima conoscenza reciproca, coltivata nel tempo con una progressiva accoglienza dell’altro in tutti i suoi aspetti ed una disponibilità totale a donarsi senza ritegno, in una relazione che matura dal primitivo innamoramento ad un amore non più adolescente, ma specchio dell’Amore, e che nella quotidiana morte a se stessi per l’altro, risorge nella coppia, in quella “sola carne”, appunto, trasfigurata in virtù del Sacramento.
Perciò personalmente esulto, ringraziando, di quell’istante in cui, stamattina, mia moglie mi ha lasciato trasalito e gongolante a godermi la visione di lei che, come fossi io stesso in una sorta di estensione del mio corpo, ha recuperato dal lavello il succhiotto del nostro piccolino e lo ha agganciato alla rispettiva catenella proprio nel momento esatto in cui io stavo pensando a quel preciso gesto: Shiro alza la palla per Mila, che salta, schiaccia e segna.
Bel punto, cara…