Un commento all’Udienza generale del Santo Padre Benedetto XVI di mercoledì 14 novembre 2012
di Massimo Introvigne
Sociologo e storico delle religioni, già ospite a Biancavlla il 24 agosto scorso in occasione della Grande Festa Estiva in onore della Madonna dell’Elemosina
Nell’ambito delle catechesi sull’Anno della fede Benedetto XVI ha dedicato l’udienza del 14 novembre 2012 alle vie per arrivare alla conoscenza di Dio. L’espressione «vie», ha spiegato il Papa, non deve ingenerare equivoci. La conoscenza di Dio non è mai il risultato di un nostro puro sforzo intellettuale, ma ha sempre come premessa la libera iniziativa dello stesso Dio. «Non dimentichiamo mai l’esperienza di sant’Agostino [354-430]: non siamo noi a possedere la Verità dopo averla cercata, ma è la Verità che ci cerca e ci possiede».
È anche vero che oggi, «abbagliati dai luccichii della mondanità» e da «certe mentalità diffuse» ostili alla religione, siamo diventati «meno capaci di percorrere tali vie». Con parole che sembrano fare eco alla tesi del filosofo canadese Charles Taylor secondo cui l’incredulità ha oggi sostituito la fede in Europa come opzione «di default» per chi entra nella vita adulta, il Pontefice constata che «nel passato, in Occidente, in una società ritenuta cristiana, la fede era l’ambiente in cui si muoveva; il riferimento e l’adesione a Dio erano, per la maggioranza della gente, parte della vita quotidiana. Piuttosto era colui che non credeva a dover giustificare la propria incredulità. Nel nostro mondo, la situazione è cambiata e sempre di più il credente deve essere capace di dare ragione della sua fede».
Ampliando questa constatazione sociologica con uno sguardo storico, il Papa aggiunge che «dall’Illuminismo in poi, la critica alla religione si è intensificata; la storia è stata segnata anche dalla presenza di sistemi atei, nei quali Dio era considerato una mera proiezione dell’animo umano, un’illusione e il prodotto di una società già falsata da tante alienazioni. Il secolo scorso poi ha conosciuto un forte processo di secolarismo, all’insegna dell’autonomia assoluta dell’uomo». E infine il secolo XXI ha portato con sé «un fenomeno particolarmente pericoloso per la fede: c’è infatti una forma di ateismo che definiamo, appunto, “pratico”, nel quale non si negano le verità della fede o i riti religiosi, ma semplicemente si ritengono irrilevanti per l’esistenza quotidiana, staccati dalla vita, inutili». Magari si afferma ancora di credere, «in modo superficiale», ma si vive «come se Dio non esistesse», e alla fine «questo modo di vivere risulta ancora più distruttivo, perché porta all’indifferenza verso la fede e verso la questione di Dio».
Questo processo storico ha anche gravi conseguenze politiche: «l’uomo, separato da Dio, è ridotto a una sola dimensione, quella orizzontale, e proprio questo riduzionismo è una delle cause fondamentali dei totalitarismi che hanno avuto conseguenze tragiche nel secolo scorso, come pure della crisi di valori che vediamo nella realtà attuale. Oscurando il riferimento a Dio, si è oscurato anche l’orizzonte etico, per lasciare spazio al relativismo e ad una concezione ambigua della libertà, che invece di essere liberante finisce per legare l’uomo a degli idoli».
Ma proprio perché «Dio, però, non si stanca di cercarci», dare ragione di una fede pure «poco compresa, contestata, rifiutata» è possibile ancora oggi, e in questo senso vale ancora la pena di parlare di «vie». Come fa spesso, Benedetto XVI si è riferito, ancora, a sant’Agostino per riassumere tre vie di conoscenza di Dio con tre parole: il mondo, l’uomo, la fede. Anzitutto, si può conoscere Dio tramite la bellezza del creato. Non è la prima volta che il Papa cita questo brano di sant’Agostino: «Interroga la bellezza della terra, del mare, dell’aria rarefatta e dovunque espansa; interroga la bellezza del cielo…, interroga tutte queste realtà. Tutte ti risponderanno: guardaci pure e osserva come siamo belle. La loro bellezza è come un loro inno di lode. Ora queste creature così belle, ma pur mutevoli, chi le ha fatte se non uno che è la bellezza in modo immutabile?». Ma trovare oggi chi sia capace anche solo di porsi questo interrogativi non è scontato: «dobbiamo recuperare e far recuperare all’uomo d’oggi la capacità di contemplare la creazione, la sua bellezza, la sua struttura. Il mondo non è un magma informe, ma più lo conosciamo e più ne scopriamo i meravigliosi meccanismi, più vediamo un disegno, vediamo che c’è un’intelligenza creatrice».
Che, in secondo luogo, si possa conoscere Dio partendo dall’uomo lo afferma ancora sant’Agostino: «Non andare fuori di te, rientra in te stesso: nell’uomo interiore abita la verità» . Ma oggi anche questo è un «aspetto che noi rischiamo di smarrire nel mondo rumoroso e dispersivo in cui viviamo: la capacità di fermarci e di guardare in profondità in noi stessi e leggere quella sete di infinito che portiamo dentro, che ci spinge ad andare oltre e rinvia a Qualcuno che la possa colmare».
Terzo: «non dobbiamo dimenticare che una via che conduce alla conoscenza e all’incontro con Dio è la vita della fede». Per comprendere questo, dobbiamo spiegare all’uomo contemporaneo che la fede «non è illusione, fuga dalla realtà, comodo rifugio, sentimentalismo, ma è coinvolgimento di tutta la vita». Oggi molti «hanno una concezione limitata della fede cristiana, perché la identificano con un mero sistema di credenze e di valori e non tanto con la verità di un Dio rivelatosi nella storia, desideroso di comunicare con l’uomo». Certamente – è un tema forte dell’Anno della fede – il cristianesimo ha una dottrina precisa. E tuttavia – e nello stesso tempo – non possiamo mai dimenticare che «il Cristianesimo, prima che una morale o un’etica, è avvenimento dell’amore, è l’accogliere la persona di Gesù. Per questo, il cristiano e le comunità cristiane devono anzitutto guardare e far guardare a Cristo, vera Via che conduce a Dio».