Un racconto delle feste ottobrine di Biancavilla, tra tradizione, folklore e disincanto. È anche un ritratto ironico e benevolo dei biancavillesi e dei siciliani.*
di Alessandro Scaccianoce
Banda, fuochi d’artificio, bancarelle e luminarie. Sono gli ingredienti di ogni festa patronale, così come intesa da Roma in giù. Non vi fa eccezione neppure l’Ottobre Sacro di Biancavilla, con i festeggiamenti in onore dei Santi Patroni, Maria SS. dell’Elemosina, San Placido e San Zenone.
Da sempre, la prima decade di ottobre costituisce uno spartiacque per la vita dei biancavillesi. “Dopu San Prazzitu”, è il termine che dà avvio ufficialmente alle attività lavorative, scolastiche e familiari. Dopo questa data-periodo si fa sul serio. Prima c’è sempre e comunque quell’attesa della festa, che fa prendere tutto più comodamente.
La gran parte delle feste patronali, in giro per il mondo, si svolgono nei mesi caldi, da giugno a settembre. Questo per garantire che il bel tempo consenta lo svolgimento delle molte manifestazioni popolari collaterali.
A San Placido, invece, il maltempo è di casa! Chi non ricorda almeno una pioggerellina leggera in una delle serate di festa? È il bello – se vogliamo – del clima ottobrino: ché se ancora a mezzogiorno il sole brucia, al mattino e alla sera l’umidità dell’aria è forte. Per contrastare questo primo fresco autunnale, cosa c’è di meglio del calore sprigionato dalle caldarroste che crepitano nelle casseruole, o dal fumo della salsiccia che sulla brace si lascia cuocere e guardare… Come rinunciare ad una passeggiata stretti stretti sul corso principale trasformato per l’occasione in un grande mercato, ricco di luci, colori e suoni!
È il ritrovarsi di una cittadina, il ricordarsi di far parte di un insieme più grande di gente, più o meno tollerata, accettata e sopportata. In queste feste non ci si può sentire soli. Non c’è spazio per pensieri tristi. “Dopu San Prazzitu”, potremmo rispondere. È festa e non c’è tempo per i problemi! Portiamo ancora una volta i bambini alle giostre a fare i giri sugli “apparecchi”, mangiamo l’ultimo “schiumone” della stagione calda e le prime castagne d’autunno. Ogni festa che si rispetti è occasione di svago e disimpegno. E questa, come le altre, non fa eccezione. Tutto è magico, trasfigurato. Il paese sembra anche più bello. Perché non potrebbe essere sempre così? Con la stessa vitalità e la stessa luminosità!
Potremmo chiederlo a quel volto bruno di Madonna che la sera del 4 ottobre sta attraversando questo fiume in piena di gente e di bancarelle, forse anche tra mille distrazioni e che con fatica si riesce a scorgere tra l’aria annebbiata di umido e fumi, protetta da una luminosa corazza argentea. Eppure è un volto che interpella, che parla d’amore, di una bellezza interiore che traspare anche all’esterno: “A Bedda Matri ‘a Limosina!”.
Quella bellezza discreta e silenziosa, come solo l’arte bizantina lo è, che pure costringe il venditore di cd e dvd ad abbassare il volume al suo passaggio. Perché la bellezza vera non si impone col chiasso, ma esige spontaneamente il rispetto.
Sono giorni di festa anche per ritrovare quell’amico rientrato in città per l’occasione, dal continente, e ricordare con lui i tempi passati e stare a guardare come Biancavilla sia rimasta sempre uguale a se stessa.
C’è un giorno particolare di festa, è il 5 ottobre. Lo ricorda la passeggiata della banda musicale lungo il corso, che riempie l’aria di marce allegre, insieme ai tanti palloncini che, agitati dal fresco ottobrino, sgomitano per mettersi in mostra. In teoria non si lavora (ma figuriamoci! Oggi si lavora anche di domenica, a Natale e pure a Pasqua!) e ci si ritrova tutti insieme, prima ai piedi del sagrato della Matrice, per guardare San Placido e contare i minuti di “moschetteria”, poi attorno alla tavola imbandita, come solo i siciliani sanno imbandirla…
Ma il Sindaco chi ha “portato” quest’anno per la festa? – Non lo sai? Ma è quello che canta quella canzone lì… – Ma è antico! – Hai ragione, ma sai quanto costano sti cantanti? Io vado a vedere se trovo un balcone per guardarmi lo spettacolo…
Eh sì, perché lo spettacolo è anche il cantante di turno, ma soprattutto quella gente che si raduna attorno al palco, che si lascia trascinare da quelle melodie, che canta all’unisono, che applaude, che urla… finalmente libera da stereotipi e atteggiamenti controllati e studiati in ogni particolare per non dare fastidio “all’occhio sociale” (il Grande Fratello ante litteram!).
Già il 6? Ma come volano in fretta queste feste! Stasera bisogna vestirsi bene, perché è l’ultima sera della festa, poi se ne parla a Pasqua di uscire… l’ultima passeggiata per adocchiare ancora qualcosa di utile sulle bancarelle… (si trova sempre quel qualcosa da comprare). Contratteremo domani, quando i fieranti inizieranno a smontare le bancarelle… e allora abbasseranno anche i prezzi!
Intanto è già tempo di prendere posto in piazza: ci sono i fuochi piromusicali. Una volta era uno spettacolo di “ruote mariuole”, ora si sono inventati questa commistione di fuochi, immagini e musica. Anche l’acqua ci hanno messo una volta! È una cosa bella, non c’è che dire… Stiamo un po’ scomodi col naso all’in su, ma non se ne può fare a meno. Si sogna e si fantastca, dietro ogni schizzo di fuoco… poi con la coda dell’occhio accompagniamo San Placido che rientra in Chiesa Madre: “Ci vediamo l’anno prossimo! A ccu cci campa!”. Ancora una passeggiata, se il tempo lo permette. Fino allo “Sgriccio” per lo “sparo di mezzanotte”. Stavolta è finita davvero. Rientrando a casa le luminarie cominciano a spegnersi… che malinconia!
Com’è stato bello ritrovarsi “cittadini”, far festa, spensierati, davanti ai Santi Patroni.
E i problemi della Sicilia, dei giovani senza lavoro, gli scandali della politica, le elezioni, le arance che non valgono…? Ne parliamo “dopu San Prazzitu”!
* L’articolo è pubblicato su “L’Alba – Arte Cultura Società”, periodico d’informazione.