Venerdì scorso è morto l’ex Arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini (85 anni). Molte in queste ore le polemiche strumentali sulla sua figura. Ha servito il Vangelo, cercando di intrepretare il suo tempo, con i limiti e le categorie umane. La personale testimonianza del nostro amico Prof. Introvigne distingue opportunamente il suo amore per la Chiesa da alcune analisi sociologiche – e conseguenti proposte di soluzione – piuttosto parziali e opinabili.
di Massimo Introvigne
Non mi ritrovo né nelle celebrazioni né nelle accuse al cardinale Martini in occasione della sua morte. Non mi ci ritrovo perché il cardinale io l’ho conosciuto bene, negli anni in cui le sue idee hanno preso la forma che hanno sempre mantenuto: nei primi anni 1970, quando veniva spesso all’Istituto Sociale di Torino, dove io frequentavo il liceo dei Gesuiti. Per questa conoscenza, quando nel 1973 andai a studiare a Roma alla Pontificia Università Gregoriana, presi l’abitudine di attraversare la strada e andare a prendere spesso il caffè da lui, al Pontificio Istituto Biblico. Negli anni successivi, quando era cardinale a Milano, l’ho incontrato molto più sporadicamente: a Torino, quando veniva a trovare la sorella, per coincidenza e per molti anni mia vicina di casa, e in qualche convegno. Non l’ho mai trovato veramente cambiato.
Martini non era un progressista nel senso in cui lo era, per esempio, il cardinale Michele Pellegrino (1903-1986) di Torino. Da Pellegrino, e da tanti come lui, Martini era diviso da un sentimento di fondo. Il cardinale gesuita non pensava affatto, come i veri progressisti, che la transizione dai valori della società tradizionale a quelli della società postmoderna, imperniata su un individualismo assoluto e sul rifiuto di ogni nozione di un’etica naturale, particolarmente in tema di sessualità, fosse uno sviluppo gioioso, trionfale e soltanto positivo. Mi sentirei di dire che aveva perfino una certa nostalgia della società tradizionale e dei suoi valori. Pensava però che quella società fosse morta per sempre, che quei valori se ne fossero andati senza nessuna possibilità di tornare, e che l’unica possibilità di sopravvivenza per la Chiesa fosse prenderne atto. O la Chiesa incontra il postmoderno e si adatta, pensava, o il postmoderno distruggerà la Chiesa, riducendola a un piccolo e irrilevante residuo.
Qualcuno potrebbe dire che, con queste idee, Martini sbagliava teologia, dando troppo poco spazio alla speranza soprannaturale che anche corsi della storia che sembrano umanamente ineluttabili abbiano invece un esito diverso. Io penso piuttosto che sbagliasse sociologia. Interessato al mondo – minoritario, e che rimane tale negli anni – degli atei, e al protestantesimo storico del Nord Europa in via di sparizione – sono reduce da un seminario in Danimarca, dove i protestanti praticanti sono scesi sotto la soglia del due per cento -, il cardinale era singolarmente poco attento all’universo delle comunità protestanti pentecostali e fondamentaliste e ai nuovi movimenti religiosi di origine cristiana come i Mormoni. Notare questa disattenzione non è una mia deformazione professionale di studioso del pluralismo religioso, ma è una chiave per capire certe conclusioni di Martini.
Un dato che non gli era abitualmente presente era quello per cui, mentre le confessioni cristiane «liberal» come appunto quelle protestanti del Nord Europa, che accettano la nuova etica dall’aborto alle unioni omosessuali, perdono membri a un ritmo impressionante, le denominazioni conservatrici con un’etica sessuale perfino più rigida di quella cattolica, come quelle di orientamento fondamentalista o pentecostale – o anche, appunto, i Mormoni – crescono a un ritmo altrettanto spettacolare.
È vero che nella società secolarizzata la nuova etica è data per scontata. Ma non è meno vero che le Chiese e confessioni che si adattano alla nuova etica, mentre sono applaudite dai media, sono abbandonate dai fedeli. Che invece si affollano nelle denominazioni che offrono un’etica più rigida.
I sociologi hanno spiegato da anni perché questo accade. Chi accetta la nuova etica la trova dovunque nella società, e non ha bisogno di cercarla nelle chiese. La minoranza che va in chiesa invece in larga parte non apprezza la nuova etica, e sceglie quindi in maggioranza quelle Chiese, confessioni, movimenti che non accettano il mondo postmoderno ma lo contestano.
Detto in termini più crudi, accettando le conseguenze che Martini – ancora nell’intervista recente sulla «Chiesa indietro di duecento anni» – traeva con un procedimento impeccabile da premesse sociologiche che però erano sbagliate, la Chiesa Cattolica non risolverebbe i suoi problemi, ma si ridurrebbe come la Chiesa Luterana danese.
Dunque, nel caso del cardinale Martini, non tanto progressismo ideologico o cattiva teologia, ma cattiva sociologia. Un difetto, forse, più facile da perdonare a un uomo che aveva anche tante capacità e tanta cultura, oltre a quello che mi è sempre sembrato un genuino amore per la Chiesa. A patto di non seguire le cure che proponeva per la Chiesa, perché erano basate su una diagnosi sbagliata.
È stato lui, anni fa, a definirsi in Conversazioni notturne a Gerusalemme un Ante-Papa, e cioè «un precursore e preparatore per il Santo Padre», uno insomma che prepara il terreno al Papa e gli indica i problemi da affrontare.
Uno, in sostanza, che detta la linea al capo della Chiesa, che gli dice come e in che modo muoversi e agire.
E, in effetti, questo è stato il cardinale Carlo Maria Martini, negli anni in cui ha svestito i panni del gesuita biblista e dell’esegeta e ha indossato, dal 1980 al 2002, quelli di arcivescovo della diocesi più ricca d’Italia e, forse, più prestigiosa del mondo: Milano. Un vescovo di peso, un cardinale candidato per anni al papato, e insieme, che piaccia o meno, una spina nel fianco per il suo principale alter ego ecclesiale: Giovanni Paolo II. Il Papa polacco che alla propria profetica e dottrinalmente cristallina predicazione (una predicazione supportata dal contributo teologico di Joseph Ratzinger) vedeva contrapporsi metodicamente pagine di interventi e interviste sui principali quotidiani italiani e internazionali ricolme di dubbi e «zone grigie» da parte del porporato ambrosiano. Pagine che Wojtyla non ha mai dichiarato di non digerire. Anzi: come nel 1978, una volta salito al soglio di Pietro, egli scelse come suo principale collaboratore in segreteria di Stato una personalità diversa da sé e cioè Agostino Casaroli, così lasciò che Martini a tratti gli si contrapponesse giudicando il contributo del suo «avversario» prezioso perché diverso, utile perché non allineato.
Certo, non sempre furono rose e fiori. A volte, le prese di posizione di Martini che facevano esultare la classe politica di sinistra e il mondo progressista, una qualche irritazione oltre il Tevere la provocavano. In special modo quando in ballo c’erano i temi della vita, del nascere e del morire, Martini interveniva lanciando idee-manifesto che dai più erano giudicate come una presa di posizione politica volutamente forte.
Difficile però dire se era lui che si schierava a sinistra o se era la sinistra politica che faceva divenire le sue parole cosa sua. Di certo la sua Chiesa tutta del ritorno alla «purezza e l’umiltà del Vangelo», la Chiesa che un giorno dovrà essere in grado di portare avanti riforme «necessarie come è quella dell’abolizione del celibato dei preti», una Chiesa «che sta morendo perché manca la passione e la sofferenza», la Chiesa del ritiro nelle sagrestie, di retrovia, e che insieme sa osare aperture importanti per i divorziati risposati e le coppie di fatto, era a sinistra che lanciava messaggi, non certo al mondo politico più conservatore.
Eppure, ultimamente, Martini aveva preso posizioni più morbide, meno schierate. Il 30 agosto 2010, ad esempio, stupisce quando sulla sua rubrica mensile sul Corriere della Sera dedicata ai «divorziati e all’amore coniugale», non risponde a una precisa domanda di un lettore in merito usando le medesime parole pronunciate anni prima in una conversazione con Armando Torno e don Luigi Verzé a Milano: qui chiese un Concilio per ridiscutere il «no» all’eucaristia per queste persone. Sul Corriere scrive invece che «bisogna fare di tutto per salvare anche i naufraghi». Come? «Tocca alla Chiesa deciderlo. Noi possiamo solo pregare, soffrire e attendere». Ma, insieme, puntualizza che è «importante anzitutto non favorire in nulla né la leggerezza né l’infedeltà, promuovere la perseveranza, difendere l’amore coniugale dai pericoli che ne minacciano la perennità». Insomma, parole diverse, queste ultime, meno di battaglia, meno interpretabili politicamente.
Se c’è un martiniano doc, questi è don Giovanni Nicolini. Mantovano, fu a Bologna che conobbe e frequentò Giuseppe Dossetti. Quindi la lunga amicizia con Martini che l’ha sostenuto nel progetto di fondazione della comunità le Famiglie della Visitazione. Ha detto don Nicolini al Foglio qualche mese fa che Martini, prima di inaugurare la sua rubrica di lettere al Corriere, «ha cercato di svolgere interventi di audacia spirituale ma mai duri». E che ora, in questa sua terza età, «continua con questa linea seppure sia maggiormente la sapienza dell’anziano a venire fuori. Mi pare che riesce a vedere tutto come da una pace superiore. Riesce a offrire un giudizio realistico sulla vita della Chiesa al di là delle polemiche».
Antonio Socci: Non sono martiniano, sono cattolico
Vedendo il mare di sperticati elogi ed esaltazioni sbracate del cardinale Martini sui giornali di ieri, mi è venuto in mente il discorso della Montagna dove Gesù ammonì i suoi così: “Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi” (Luca 6, 24-26).
I veri discepoli di Gesù infatti sono segno di contraddizione: “Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo (…) il mondo vi odia. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 16, 18-20).
Poi Gesù indicò ai suoi discepoli questa beatitudine: “Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli” (Luca 6,20-23).
Una cosa è certa, Martini è sempre stato portato in trionfo sui mass media di tutto il mondo, da decenni, e incensato specialmente su quelli più anticattolici e più ostili a Gesù Cristo e alla sua Chiesa.
Che vorrà dire? Obiettate che non dipendeva dalla sua volontà? Ma i fatti dicono che Martini ha sempre cercato l’applauso del mondo, ha sempre carezzato il Potere (quello della mentalità dominante) per il verso del pelo, quello delle mode ideologiche dei giornali laicisti, ottenendo applausi ed encomi.
E’ stato un ospite assiduo e onorato dei salotti mediatici fino ai suoi ultimi giorni.
O vi risulta che abbia rifiutato l’esaltazione strumentale dei media che per anni lo hanno acclamato come l’Antipapa, come il contraltare di Giovanni Paolo II e poi di Benedetto XVI?
A me non risulta. Eppure avrebbe potuto farlo con parole ferme e chiare come fece don Lorenzo Milani quando la stampa progressista e la sinistra intellettuale e politica diceva: “è dei nostri”.
Lui rispondeva indignato: “Ma che dei vostri! Io sono un prete e basta!”. Quando cercavano di usarlo contro la Chiesa, lui ribatteva a brutto muso: “in che cosa la penso come voi? Ma in che cosa?”, “questa Chiesa è quella che possiede i sacramenti. L’assoluzione dei peccati non me la dà mica L’Espresso. E la comunione e la Messa me la danno loro? Devono rendersi conto che loro non sono nella condizione di poter giudicare e criticare queste cose. Non sono qualificati per dare giudizi”.
E ancora: “Io ci ho messo 22 anni per uscire dalla classe sociale che scrive e legge L’Espresso e Il Mondo. Devono snobbarmi, dire che sono ingenuo e demagogo, non onorarmi come uno di loro. Perché di loro non sono”, “l’unica cosa che importa è Dio, l’unico compito dell’uomo è stare ad adorare Dio, tutto il resto è sudiciume”.
Queste meravigliose parole di don Milani, avremmo voluto ascoltare dal cardinale, ma non le abbiamo mai sentite. Mai. Invece ne abbiamo sentite altre che hanno sconcertato e confuso noi semplici cattolici. Parole in cui egli faceva il controcanto puntuale all’insegnamento dei Papi e della Chiesa.
Tanto che ieri “Repubblica” si è potuta permettere di osannarlo così: “non aveva mai condannato l’eutanasia”, “dal dialogo con l’Islam al sì al preservativo”.
Tutto quello che le mode ideologiche imponevano trovava Martini dialogante e possibilista: “non è male che due persone, anche omosessuali, abbiano una stabilità e che lo Stato li favorisca”, aveva detto.
E’ del tutto legittimo – per chiunque – professare queste idee. Ma per un cardinale di Santa Romana Chiesa? Non c’è una contraddizione clamorosa? Cosa imporrebbe la lealtà?
Quando un cardinale afferma: “sarai felice di essere cattolico, e altrettanto felice che l’altro sia evangelico o musulmano” non proclama l’equivalenza di tutte le religioni?
Chi ricorda qualche vibrante pronunciamento di Martini che contraddiceva le idee “politically correct”? O chi ricorda un’ardente denuncia in difesa dei cristiani perseguitati?
Io non li ricordo. Preferiva chiacchierare con Scalfari e – sottolinea costui – “non ha mai fatto nulla per convertirmi”. Lo credo. Infatti Scalfari era entusiasta di sentirsi così assecondato nelle sue fisime filosofiche.
Nella seconda lettera a Timoteo, san Paolo – ingiungendo al discepolo di predicare la sana dottrina – profetizza: “Verranno giorni, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità, per volgersi alle favole” (Tm 4, 3-4).
Nella sua ultima intervista, critica con la Chiesa, Martini si è chiesto dove sono “uomini che ardono”, persone “che hanno fede come il centurione, entusiaste come Giovanni Battista, che osano il nuovo come Paolo, che sono fedeli come Maria di Magdala?”.
Evidentemente non ne vede fra i suoi adepti, ma nella Chiesa ce ne sono tantissimi. Peccato che lui li abbia tanto combattuti, in qualche caso perfino portandoli davanti al suo Tribunale ecclesiastico. Sì, questa è la tolleranza dei tolleranti.
Martini ha incredibilmente firmato la prefazione a un libro di Vito Mancuso che – scrive “Civiltà cattolica” – arriva “a negare o perlomeno svuotare di significato circa una dozzina di dogmi della Chiesa cattolica”.
Ma il cardinale incurante definì questo libro una “penetrazione coraggiosa” e si augurò che venisse “letto e meditato da tante persone” (del resto Mancuso definisce Martini “il mio padre spirituale”).
Dunque demolire i dogmi della fede non faceva insorgere Martini. Ma quando due giornalisti – in difesa della Chiesa – hanno criticato certi intellettuali cattoprogressisti, sono stati da Martini convocati davanti alla sua Inquisizione milanese e richiesti di abiura.
Che paradosso. L’unico caso, dopo il Concilio, di deferimento di laici cattolici all’Inquisizione per semplici tesi storiografiche porta la firma del cardinale progressista. “Il cardinale del dialogo”, come lo hanno chiamato Corriere e Repubblica.
I giornali sono ammirati per le sue massime. Devo confessare che io le trovo terribilmente banali . Per esempio: “emerge il bisogno di lotta e impegno, senza lasciarci prendere dal disfattismo”.
Sembra Napolitano. Grazie al cielo nella Chiesa ci sono tanti veri maestri di spiritualità e amore a Cristo. L’altro ritornello dei media è sull’erudizione biblica di Martini. Senz’altro vera.
Ma a volte il buon Dio mostra un certo umorismo. E proprio venerdì, il giorno del trapasso di Martini, la liturgia proponeva una Parola di Dio che sembra la demolizione dell’erudizione e della “Cattedra dei non credenti” voluta da Martini, dove pontificavano Cacciari e altri geni simili.
Scriveva dunque san Paolo che Cristo lo aveva mandato “ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo. La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio.
Sta scritto infatti: ‘Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti’. Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? Poiché… è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione… Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1, 17-25).
E il Vangelo era quello delle dieci vergini, dove Gesù – ribaltando i criteri mondani – proclama “sagge” quelle che hanno conservato la fede fino alla fine e “stolte” quelle che l’hanno perduta.
Spero che il cardinale abbia conservato la fede fino alla fine. Le esaltazioni di Scalfari, Dario Fo, “Il Manifesto”, Cacciari gli sono inutili davanti al Giudice dell’universo (se non saranno aggravanti).
Io, come insegna la Chiesa, farò dire delle messe e prenderò l’indulgenza perché il Signore abbia misericordia di lui. E’ la sola pietà di cui tutti noi peccatori abbiamo veramente bisogno. E’ il vero amore. Tutto il resto è vanità.
Martini, il cardinale preferito da atei e nemici della Chiesa.
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Ma come fa certa stampa a inventare di sanapianta toni trionfalistici? sul corriere ho letto di file lunghissime da piazza Duomo fino a piazza della Scala con un’attesa di un’ora e mezza per entrare. Ma quando mai? sono entrato in Duomo 2 volte. la prima volta ho aspettato 7 minuti, la seconda volta nessuna fila, perchè non c’era fila. E poi, vogliamo parlare di tutti i turisti che sempre affollano le porte del Duomo sabato e domenica? Tutti questi sono stati costretti per entrare in Duomo a passare tra i milanesi che rendevano omaggio al cardinale. Insomma, cari giornalisti, cercate di dare uno sguardo obiettivo e veritiero sulla realtà. I toni dell’omaggio inoltre erano veramente molto lontani da quell’atmosfera di preghiera di raccoglimento di commozione che vi fu per il grande Pontefice Giovanni Paolo II. Lì davvero, l’omaggio fu mondiale, corale, di preghiera, commosso. Con buona pace dei milanesi che credono di essere l’ombelico del mondo.