di Alessandro Scaccianoce

In Sicilia non c’è stato il terremoto che ha distrutto case, chiese, abitazioni e capannoni industriali, eppure il terreno ha tremato, e non poco, sull’onda della gravissima crisi politica ed econominca che ha fatto venire alla ribalta tutta l’incapacità di chi ci ha governato a pensare e a costruire progetti di sviluppo e di crescita.

Che cosa ne è stato di 60 anni di Statuto Speciale? Che cosa ne abbiamo fatto della nostra “Autonomia”? La Sicila continua ad avere bisogno di “padroni” che dicano cosa fare e come comportarsi. L’ipotesi del Commissariamento e il richiamo del Presidente Monti sono il segno più eloquente di questa inadeguatezza e incapacità.

Tutto ciò non può che generare grande disagio nella società civile. Cosa sperare per il nostro futuro e quello dei nostri figli? Da dove ricominciare a ricostruire?

Attraverso questo blog, che curiamo con dedizione e impegno da 9 mesi, vogliamo contribuire a dare voce a questi sentimenti e voglia di riscatto della nostra gente e dei tanti giovani siciliani che amano la loro terra, che amano la bellezza morale e concreta, e che costituiscono la vera forza che può contribuire a scrivere per la Sicilia una storia diversa.

Anche le molte iniziative programmate dalla nostra Associazione, a livello culturale e religioso, non vogliono essere un “diversivo” per distrarre l’attenzione dai più gravi problemi della nostra socità, ma possono essere la chiave per affrontarli con nuovi entusiasmo e determinazione.

Per fare questo è richiesto un solo prerequisito: superare quell’individualismo atavico, vero cancro sociale, che impedisce ogni vero sviluppo. Perchè non ci può essere vero sviluppo e progresso di ciascuno senza uno sviluppo che coinvolga anche gli altri.

Pubblichiamo di seguito l’articolo dell’amico D’Avenia che è una di quelle voci giovani che crede e lavora per una presa di coscienza forte e consapevole della necessità di un nuovo corso per la nostra Sicilia.

 

In attesa della pioggia

 

di Alessandro D’Avenia

“Intorno ondeggiava la campagna funerea, gialla di stoppie, nera di restucce bruciate; il lamento delle cicale riempiva il cielo; era come il rantolo della Sicilia, arsa che alla fine di agosto aspetta invano la pioggia”.
Così Tomasi di Lampedusa, nel suo capolavoro, descrive la sosta delle carrozze della famiglia Salina durante il viaggio polveroso verso Donnafugata, in una tenuta sul limitare delle terre del Principe. La descrizione dell’arsura e dell’attesa mi sembra l’immagine migliore per parlare della mia Sicilia, che conosce un momento di vera e propria siccità umana e spirituale, e attende una pioggia liberante e purificatrice, forse troppo fatalisticamente, come si è abituata a fare data la sua storia di conquiste subite.
Impossibile in poche righe abbracciare con un unico sguardo quella che un conterraneo ha definito perfettamente “l’isola plurale”, sì perché a differenza di altre isole in cui tutto è coerente proprio per la condizione di esilio nel mare, in Sicilia tutto è mutevole e contraddittorio, come si trattasse di un arcipelago di isole e di identità. Chiunque la visiti e cerchi di definirne il genio fallisce. Forse per questo Goethe una volta approdato a Palermo scrisse che la Sicilia è la chiave per capire l’Italia. Nel bene e nel male, aggiungo io.
Se proprio devo tentare una sintesi, direi che c’è qualcosa che accomuna e unifica tutto: la sua anima composita di luce e lutto. Quando si scende dall’aereo si crede di essere in una terra estranea, perché la luce ferisce, carica di odori e colori. Ma subito alla luce così forte si accompagna il lutto, un diffuso sentore di trascuratezza, di sotterfugio, di irrisione delle regole.
Così vedo la mia terra, che ultimamente ho meglio conosciuto grazie agli incontri in innumerevoli città, soprattutto con i giovani. Una Sicilia che ha risorse straordinarie (c’è più Grecia in Sicilia che in tutta la Grecia e so che anche questo ha un doppio senso, come tutto in Sicilia), ma soprattutto ragazzi assetati d’un riscatto personale e regionale. Bellezze e occhi spesso spenti dal disfattismo per una classe politica che meglio di ogni altra rappresenta la folle agonia del nostro Paese: interessi di parte, clientelismi asfissianti, contiguità malavitose, scarsa professionalità. Ho visto negli occhi di quei ragazzi, assetati, il desiderio di quella pioggia liberatoria e la paura che quella pioggia sia solo un miraggio, e che non resti quindi che andar via, a dare il meglio di sé altrove.
Ma la Sicilia è anche quella di Siciliani convinti che ad amarla, nonostante tutto, la si cambia, anche a costo della vita. Così lo diceva Paolo Borsellino: “Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare” e al nome della città si può sostituire quello dell’isola. Ma per molti questo è un prezzo troppo alto da pagare. Come dare loro torto?
Ho avuto la fortuna di conoscere padre Puglisi, professore di religione al Vittorio Emanuele II, liceo che ho frequentato a Palermo, e Paolo Borsellino, che partecipava alla Messa domenicale nella mia stessa parrocchia (Santa Luisa). Per questo so che c’è una Sicilia di sognatori silenziosi, lavoratori instancabili, eroi e santi, come pochi se ne vedono da altre parti. Luce e lutto in loro diventano più che mai visibili, come l’anima profonda di questa terra.
Arriverà mai questa pioggia? Vedo molti giovani che vorrebbero tornare o non partire, mettere a disposizione i loro talenti per cambiare questa terra, ma molti si scoraggiano o sono costretti a fuggire.
Le righe a disposizione non possono bastare per capire la Sicilia o raccontarla, perché capirla o raccontarla significherebbe per un siciliano capire se stesso, e per questo ci vuole una vita. Allora mi congedo con le parole del mio Tomasi di Lampedusa, che mi ha aiutato a capirne un tratto:
“Videro l’orizzonte serale al di là degli alberi: dalla parte del mare immani nuvoloni color d’inchiostro scalavano il cielo. Forse la collera di Dio si era saziata, e la maledizione annuale della Sicilia aveva avuto termine? In quel momento quei nuvoloni carichi di sollievo erano guardati da migliaia di altri occhi, avvertiti da miliardi di semi nel grembo della terra. “Speriamo che venga finalmente la pioggia” disse Don Fabrizio”.
Spero che la crisi attuale spazzi via chi ha contribuito a fare di quest’isola un deserto, almeno avrà avuto il merito di aumentare questa trepidante attesa assetata di pioggia: so che quella pioggia è la generazione di giovani siciliani che avranno la pazienza e il coraggio di cambiare le cose, senza bisogno di essere martiri. Migliaia di occhi, miliardi di semi aspettano.

É il momento di disattendere il disfattismo gattopardesco e cambiare tutto, per cambiare qualcosa!

 

Articolo pubblicato su Avvenire, edizione del 19 luglio 2012

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