Rilievi critici sul nuovo itinerario di formazione cristiana dei fanciulli che accorpa la Prima Comunione con la Cresima, spostando l’amministrazione di questi Sacramenti in un’età difficile, come la preadolescenza. Una verifica sul cammino fatto.
di Alessandro Scaccianoce
Dal 1997 la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) ha cominciato a produrre documenti per definire nuove forme di cammini di fede, in particolare di iniziazione alla fede degli adulti, dei ragazzi dai 7 ai 14 anni e di quanti si sono allontanati in età adolescenziale ma si riaccostano in prossimità dell’età adulta, magari in vista del matrimonio. In altri termini: è cambiato il mondo, cambiamo il modo di fare i cristiani!
In particolare, si è scelto, a livello di Conferenza Episcopale Italiana, di procrastinare le tappe fondamentali dell’ICFR (acronimo che sta per Iniziazione Cristiana di Fanciulli e Ragazzi). Il primo risultato è che non si parla più di Catechismo, ma di Iniziazione Cristiana. Il motivo? Come si legge in alcune note pastorali diocesane: “Sono cambiati i tempi”, “non è più come una volta”, “la società è diversa”…ecc.
Lo slogan utilizzato è tipicamete questo: “Catechismo? No grazie! Diventare Cristiano? Sì grazie!”. Come se il Catechismo, l’introduzione alle verità di fede, fosse un’attività che non consente di divenire cristiani. Il Cristianesimo, certamente, non è dottrina, ma è anche un insieme di verità rivelate che illuminano la nostra vita. Certamente è prioritario l’incontro personale con Cristo risorto e vivo, ma un rinnovato modo di fare catechesi non può prescindere dalle domande più profonde che abitano il cuore di ogni uomo (chi ci ha creati? chi è Dio? perchè ci ha creati?). Il Catechismo, l’Iniziazione Cristiana, o comunque lo si voglia chiamare, deve essere in grado di dare risposte a queste domande.
Il primo obiettivo dichiarato del nuovo metodo è quello di “tamponare” la fuga dei ragazzi subito dopo la Cresima. Una faccenda sociologica, insomma, prima ancora che pastorale. In realtà, questo è un campo minato: siamo sicuri che, esasperando le tempistiche, non si rischia piuttosto una disaffezione ancora più grave? I battezzati scocciati ‒ o spaventati ‒ potrebbero decidere di dire addio alla Chiesa e di starsene senza Sacramenti.
Sì, perchè proprio la pratica, ormai quasi decennale di questa esperienza, ha fatto emergere con tutta evidenza che l’entusiasmo dei bambini di 7 anni nel ricevere la Prima Comunione non è lo stesso dei ragazzi 12-14enni, che hanno già altri pensieri per la testa… A ciò si aggiunga l’impoverimento che deriva dal celebrare insieme i due Sacramenti, con l’effetto di sacrificarne quantomeno uno dei due. Proprio in questi giorni mi è capitato di parlare con alcuni ragazzi che dicevano che a fine maggio “riceveranno la Cresima”. Io ho fatto notare loro che riceveranno anche la Prima Comuinone. Ma ho capito che nella loro percezione la Cresima è più importante, anche perché c’è un padrino-madrina di mezzo da scegliere, con un connesso regalo importante… è una cosa da adulti insomma. “La Comunione, mi dicevano, la potremo ricevere tante volte”.
La Cresima è sempre stata percepita come il Sacramento della maturità. La sua importanza – prima del nuovo metodo – era particolarmente sottolineata dal fatto che veniva amministrato dal Vescovo o da un suo delegato. Insomma era proprio – per limitarci all’aspetto sociologico – l’ingresso nel mondo degli adulti nella fede, il Sacramento della responsabilità e della testimonianza. Credo che questo valga ancora per I ragazzi. A discapito della Prima Comunione.
Mi vorrei soffermare ancora un attimo sull’importanza dalla presenza del Vescovo nella celebrazione della Confermazione, con tutto il timore che vi si associava nella preparazione. Ricordo bene che la mia catechista si premurava di prepararci all’eventualità che il Vescovo potesse anche fare domande!! Insomma era un piccolo esame di maturità, che segnava davvero un passaggio maturativo, fino a diventare “Miles Christi” (Soldato di Cristo).
Queste dinamiche – è innegabile – sono appiattite dalle nuove modalità di amministrazione della Cresima, impartita dal parroco, spesso con un tono piuttosto dimesso. Si è persa in tal modo, tra l’altro, anche l’unica occasione di un contatto diretto e personale dei ragazzi con la figura del Vescovo. Ma il nuovo metodo – si dice – serve a creare un legame più forte tra I ragazzi e il loro parroco. Siamo proprio sicuri che non si potesse fare altrimenti?Qual è a questo punto lo specifico del Vescovo? “E’ uno che comanda i preti”, mi ha risposto un ragazzino.
Ma v’è ancora un altro aspetto critico da rilevare: tale impostazione dilaziona nel tempo anche la celebrazione del sacramento della Confessione. Siamo proprio sicuri che insegnare il senso del peccato e la bellezza della riconciliazione a 7 anni non fosse più opportuna?
Le riforme pastorali introdotte da san Pio X furono accolte con grande gioia, perché resero possibile l’ammissione dei fanciulli alla Prima Comunione prima dei 12 anni. Quella riforma, infatti, fu animata da una profonda intelligenza spirituale. Col decreto Quam Singulari del 10 agosto 1910 si anticipò l’ammissione alla Prima Comunione all’età di 7 anni, anziché 12, affinché nel cuore dei piccoli, ancora puro, “Gesù entrasse prima di satana”. Bastava che sapessero distinguere «il Pane eucaristico dal pane comune».
Il Codice di Diritto Canonico, a proposito della Comunione, prevede al Can. 912 che i fanciulli che abbiano raggiunto «l’uso della ragione» e siano «debitamente preparati», debbano essere «quanto prima, premessa la confessione sacramentale, alimentati di questo divino cibo».
Sulla Confermazione, al Can. 890 si legge nel Codice: «I fedeli sono obbligati a ricevere tempestivamente questo sacramento». Quando? «All’incirca all’età della discrezione» (Can. 891), salvo casi eccezionali, come «pericolo di morte» o gravi cause.
Siamo proprio sicuri che a 7 anni i nostri ragazzi non siano in grado di avere già la percezione del peccato? E siamo altrettanto certi che non sia più proficuo amministrare la Prima Comunione in tenera età, prima che abbiano a confrontarsi con le questioni dell’adolescenza, che inevitabilmente li portano ad una forte concentrazione su loro stessi, sul loro cambiamento fisico, sull’apprezzamento sociale, e su tutte quelle dinamiche che operano in quella delicata età, compresa anche una certa ribellione verso le autorità precostituite e pratiche tradizionali?
In questo nuovo percorso di formazione c’è sicuramente una buona intenzione di fondo, che è quella di cercare di ottenere un maggiore coinvolgimento delle famiglie dei ragazzi. Il nuovo itinerario cerca di rimettere al centro dell’annuncio e della catechesi la famiglia, richiedendo un coinvolgimento dei genitori. Tuttavia, siamo propro sicuri che la famiglia voglia e sia in grado di seguire sempre, con convinzione e con il dovuto entusiasmo, queste pur legittime istanze? Questi nuovi “percorsi” costringono inoltre i genitori a “tour de force” spirituali, definiti occasioni di «condivisione esperienziale» ‒ con brutta terminologia sociologica ‒. Col rischio di famiglie divise tra chi va e chi non va, figli lasciati soli a gestirsi la complessa macchina “organizzativa”.
A complicare le cose concorre anche l’introduzione di “riti” di tipo battesimale, quali il rito della «consegna della Bibbia», della «consegna del Credo», della «consegna del Padre Nostro», della «consegna dei Dieci Comandamenti», della «consegna del Precetto del Signore o del Comandamento dell’Amore» e molti altri. E se, anziché consegnare, si insegnasse tutto questo ‒ come in passato ‒ non sarebbe meglio? Tuttavia, sono convinto che i riti abbiano un loro valore educativo.
Nelle Diocesi tali cammini di iniziazione cristiana sono stati per lo più imposti, tra non poche resistenze: il tempo trascorso dalla loro introduzione consente già di fare un primo bilancio e da più parti si nota che in realtà non abbiano prodotto i miracoli prospettati. L’abbandono della parrocchia dopo la Cresima continua ad essere un dato molto elevato e le famiglie non si lasciano coinvolgere più di tanto nei cammini di preparazione. Si segnala, piuttosto, il numero crescente di Parroci, che ha deciso di non seguire questa “innovazione”, ritenendo che, laddove non esista un rapporto umano vero tra il sacerdote, i ragazzi e le famiglie, non vi sia “strategia” che tenga.
Il fatto principale è proprio che si è escluso il decreto Quam Singulari di San Pio X che non invita semplicemente, ma obbliga in primis il genitore a far si che il figlio riceva la prima Comunione all’età della ragione intorno ai sette anni, tale decreto non è mai stato soppresso ed è impositivo.
Tanto più in questi tempi bui in cui nascono iniziative di educazione sessuale sviata nelle nostre scuole, obbedire al decreto del Papa che rimette nell’infinito tesoro eucaristico l’arma più efficace per la difesa e fortificazione dei nostri figli, al contrario di affidare in modo quasi pelagiano la medesima al metodo piuttosto che al fine del sacramento che è vera Grazia.