Dopo l’ennessima profanazione (avvenuta ieri a Bergamo) della sacralità della liturgia,  ridotta a prestesto per fare altro, ci si chiede: cosa distingue i funerali religiosi da una commemorazione laica? Quale visione della vita e della morte esprimono i riti di una comunità?

Venerdì, 20 aprile 2012

di Alessandro Scaccianoce

Inevitabilmente, il modo di celebrare il funerale rivela la concezione sociale che una comunità ha nei confronti della morte.

Nell’antichità classica i funerali avevano il compito di accompagnare il viaggio del defunto nell’Aldilà. Al ricordo dell’estinto e delle sue qualità morali e dei suoi insegnamenti (a Roma erano celebri le “Laudationes Funebres”), si univa il desiderio di agevolarne il passaggio nella vita ultraterrena attraverso varie pratiche rituali (si pensi agli accurati riti di sepoltura degli egiziani).

Il funerale religioso cattolico, per definizione, consiste nella preghiera di suffragio per l’anima del defunto, affinchè possa trovare misericordia davanti a Dio e, purificata dei suoi peccati, venga ammessa alla contemplazione del volto del Signore.

Così recita il Decreto della Sacra Congregazione per il Culto Divino del 1969 a proposito del Rito delle esequie: “Con i riti delle esequie la pia Madre Chiesa ha sempre inteso non solo raccomandare i defunti a Dio, ma anche rinvigorire la speranza dei suoi figli e testimoniare la sua fede che i battezzati risorgeranno con Cristo a vita nuova“.

Cosa diversa, evidentemente è il funerale laico: un rito di omaggio al defunto, che ne celebra il ricordo affidandone la sopravvivenza alla “memoria” dei cari (di foscoliana memoria). A questo ci hanno abituato molte fiction americane,  con i funerali fatti nel contesto laico e desacralizzato di aule a-liturgiche, officiati da un congiunto che tesse le lodi del defunto.

Due prospettive molto diverse. Eppure, una certa superficialità liturgica e il malinteso desiderio di “assecondare” i desideri dei fedeli ci hanno abituato negli ultimi tempi a funerali religiosi trasformati in spettacoli.

Se, da una parte, è sparito il nero come colore liturgico che faceva parte integrante del linguaggio religioso della morte e del lutto (sebbene sopravviva come colore socialmente atteso per il funerale e vestito dai convenuti), si è assistito all’introduzione di formule innovative, varizioni “stravaganti”, “laudationes funebres” più o meno improvvisate, che hanno l’unico scopo di muovere i sentimenti dei presenti senza incidere sulla vita e sulla fede. Tant’è che le stesse omelie funebri si misurano e si apprezano in base a quanto un prete abbia parlato bene del defunto!
 
Con questo non vogliamo dire che tutto è sbagliato, o che un riferimento alla vita di un uomo che ha concluso il suo percorso terreno non sia cosa opportuna. Anzi! Quello che ci lascia interdetti è l’oscuramento del significato principale del rito religioso delle esequie che è e resta la preghiera per l’anima del defunto.

Se, dunque,  è innegabilmente questo il significato dei funerali religiosi, ci chiediamo: cosa c’entrano le arie liriche ai funerali di Pavarotti, la motocicletta accanto alla bara di Marco Simoncelli, che tra l’altro è stata anche la causa della sua morte; cosa c’entrano le proiezioni di Power Point, i canti folkloristici in dialetto siciliano al funerale di Rita Emmanuel Calì (come denunciato su La Sicilia del 20 gennaio 2012 da Salvatore Cantarella) o, da ultimo, le canzoni di Ligabue ai funerali di Piermario Morosini, eseguite (con quale orgoglio!) dai ragazzi dell’oratorio durante la Messa esequiale (e, ancor più aberrante, durante la distribuzione della Comunione!)?

Se questo è il contesto, si capisce ancora meglio che molti osservatori – giornalisti e commentatori che ho ascoltato personalmente alla tv – si siano meravigliati che ai funerali di Lucio Dalla in chiesa non siano risuonate le note di una delle sue tante canzoni!

Ci sembra, che dietro queste trovate ci sia un tentativo di umanizzare troppo la morte, di banalizzarne il significato, dimenticando quell’apertura al trascendente, alla vita dei Cieli, che è la vita nella sua profondità più vera dopo la morte (questa è la nostra fede!). Ci si continua ad aggrappare alla vita, quando questa è stata profondamente modificata (così recita il Prefazio dei defunti: “ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta ma trasformata”). In questo soffermarsi sull’umanità passata del defunto sembra talvolta celarsi lo scetticismo per il fatto che egli continui a vivere e che, anche per questo,  abbia bisogno delle nostre preghiere. In ultima analisi, un certo modo di pensare contemporaneo nell’approccio ai defunti pare riservi più preoccupazione per chi resta in vita che non per chi ha mutato stato di vita.
 
Per non dire della grave profanazione della liturgia, degradata dal livello mistico ed escatologico a un ritrovo di simpatizzanti di Ligabue. Se il canto è preghiera, cosa pregavano quelle persone mentre ricevevano il corpo eucaristico del Signore? Cito parole della canzone: “quando questa merda intorno sempre merda resterà riconoscerai l’odore  perché questa è la realtà”. Un  inno alla vita, non c’è che dire!
 
Così srive oggi uno dei tanti giornali che hanno recensito i funerali del giovane calciatore livornese: “Piermario Morosini era un appassionato di musica e tra i suoi cantanti preferiti c’era Luciano Ligabue. Ecco perche’, durante la cerimonia funebre, il coro della chiesa di San Gregorio Barbarigo del quartiere Monterosso di Bergamo, ha intonato le canzoni ‘Il giorno di dolore che uno ha’ e ‘Non e’ tempo per noi’ del cantautore di Correggio”.

Può bastare questo per portare all’interno della Messa Ligabue? E se si fosse trattato di un circense o un amante dei cavalli o un cuoco o un  appassionato di navi…?

Non meraviglia, pertanto, che un giornale così scrivesse all’indomani dei funerali di Mario Monicelli: “Sono state esequie laiche, ma non per questo meno sentite o emozionanti, quelle che stamattina hanno tributato l’ultimo saluto per il maestro cineasta”. Appunto: dove sta la differenza?

Possiamo ancora pensare che la liturgia esequiale ci richiami alla dimensione soprannaturale della nostra vita? C’è ancora una distinzione tra realtà sacre e profane? O è solo un  modo italiano di celebrare gli stessi funerali che in America si celebrano all’interno di sale convegni? E, soprattutto, se i pastori  si confondono tra le pecore, chi guiderà il gregge?

Qui il video della Messa: sito di Repubblica TV

 

AGGIORNAMENTO:

Sulla vicenda verso cui la nostra Redazione è stata la prima ad esprimere indignazione, vi è stato un notevole sviluppo di opinioni, commenti e reazioni. Di seguito alcuni riferimenti.

Antonio Socci su Libero del 21 aprile 2012:

http://www.antoniosocci.com/2012/04/se-alla-santa-messa-si-canta-ligabue-quando-questa-merda-intorno-sempre-merda-restera-riconoscerai-lodore-perche-questa-e-la-realta/

Andrea Carradori su Messa in latino il 21 aprile 2012:

http://blog.messainlatino.it/2012/04/bergamo-canzoni-di-ligabue-durante-il.html

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