Riflessioni sulle proteste d questi giorni. Per una nuova idea di Sicilia
di Alessandro Scaccianoce
In questi giorni una dura manifestazione di protesta sta sferzando l’Italia. L’iniziativa è partita dalla Sicilia e ha visto gente aggregarsi in varie forme, apartitiche e apolitiche, difficilmente identificabili, per scatenare il suo malcontento. Qualche osservatore ha addirittura paragonato questo movimento di protesta alla c.d. “primavera araba” che è scoppiata un anno fa nei territori del nord-africa. A ben guardare, le ragioni della protesta non mancano: dal caro benzina alle tasse sulla prima casa, dalle liberalizzazioni alle regole sui “licenziamenti agevolati”.
In poco tempo, soprattutto grazie ai social network, la polemica è dilagata nel resto d’Italia. Un movimento incontrollato di cui non è possibile ad oggi prevedere gli esiti.
Per quanto riguarda la nostra Sicilia, le richieste di riduzione del prezzo del carburante sono più che legittime, considerato che oltre il 40% della benzina consumata in Italia viene raffinata sull’Isola. Con tutto quello che l’industria della raffineria comporta in termini di inquinamento ambientale. Insomma, uno scatto d’orgoglio siciliano che smentisce l’idea comunemente diffusa di un popolo da sempre avvezzo a farsi andar bene tutto.
Tuttavia, le proteste, come tutte le proteste, devono avere una chiara e ben definita idea sottostante, per evitare che diventi solo un gran polverone in cui nella mischia si finisce per contestare tutto. Così, nel calderone del malcontento sono finiti i privilegi – talvolta veri, talaltra supposti – dell’una e dell’altra categoria, e – neanche a dirlo – la Chiesa, con il suo “patrimonio” e il suo “strapotere”. Nessuno è risparmiato! In altri termini, c’è il rischio di una contestazione del sistema nella sua globalità, uno sfogo di istinti più o meno ancestrali, un odio preconcetto verso tutto e tutti. Che è l’unica cosa di cui in questo momento non abbiamo bisogno.
Le conseguenze delle proteste di questi giorni sono sotto gli occhi di tutti. Con tutti i danni collegati: pesce, verdura e frutta, arance in primis, che restano a marcire sul nostro suolo nel periodo dell’anno in cui è centrale il commercio degli agrumi, vitale per l’agricoltura siciliana, che da decenni vive in agonia. umiliante anche, per chi è costretto a lavorare da “pendolare” doversi continuamente giustificare per oltrepassare i blocchi ai varchi di strade e autostrade.
Probabilmente c’è di che lamentarsi, e a ragione, per un territorio dimenticato da chi governa, a tutti i livelli, ma anche poco rispettato da chi vi abita. Perché, è bene dirlo, il risultato di una certa arretratezza infrastrutturale ed economica non può solo imputarsi ai governanti di turno (e in 150 anni di unità d’Italia si sono avvicendati al governo tutti i partiti politici, proprio tutti!), ma anche agli abitanti hanno la loro parte in causa, con il loro scarso senso civico e il loro debole amore per la “cosa pubblica”.
Perché al nord si discute dell’alta velocità e per percorrere la tratta Catania-Palermo in treno occorrono oltre 4 ore su un unico binario risalente a più di un secolo fa? Perché le città del nord si organizzano sviluppando una rete di trasporto pubblico efficiente, mentre da noi esistono pochissimi e precari mezzi pubblici? Perché località assai meno belle si organizzano con strutture ricettive efficienti che richiamano turisti da oggi parte del mondo, e la Sicilia, con tutto il suo patrimonio storico e culturale non riesce ad imporsi a livello internazionale come isola del turismo? Perché un’area territoriale che si autodefinisce come “Padania” pretende privilegi e autonomie di cui la Sicilia gode già sulla carta dal lontano 1946?
Queste e molte altre domande possono stimolare quel necessario rapporto di amore con la propria terra che garantisca lo sviluppo del territorio e quella promozione umana che vi corrisponde.
La protesta ci interroga sul nostro rapporto con il territorio che ci circonda, perché la prima causa di sviluppo della Sicilia non possono che essere gli stessi siciliani. La crisi può essere davvero un’occasione per ripartire da capo, per riflettere su noi stessi, sul nostro modo di vivere, come ha sottolineato in più occasioni il Magistero della Chiesa. L’invito, dunque, è di lasciarci interpellare dalla crisi, non facendoci vincere dall’odio, ma affrontando il futuro con speranzosa fiducia, ripartendo da questa realtà, dalla nostra storia e dalle grandi potenzialità insite nella nostra cultura siciliana.