di Alessandro Scaccianoce
Com’è noto, la pietà popolare tende a rappresentare “drammaticamente” la verità stoica dei fatti di Gesù. Da una veloce analisi dei riti tradizionali della Settimana Santa diffusi nell’Orbe cattolico emerge subito il fatto che si tendono a evidenziare alcuni aspetti della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo che non hanno un riscontro immediato nei Vangeli, o sui quali gli stessi Vangeli non ci forniscono molti dettagli: l’Addolorata che si muove alla ricerca del Figlio e che lo segue nelle ultime ore della sua vita terrena, la grande enfasi posta sulla Deposizione di Cristo dalla croce, l’incontro di Gesù con la Madre nel giorno della sua risurrezione, sono alcuni esempi.
Occorre subito precisare che questa mancanza di piena corrispondenza con il dato evangelico non intacca minimamente la profondità e la verità di questi riti. Per quanto riguarda, infatti, il ruolo della Madonna nell’esperienza pasquale del Signore, da sempre la Tradizione vivente della Chiesa, l’ininterrotta trasmissione della fede, ha avuto grande considerazione per il suo dolore e la sua partecipazione, tanto da attribuirLe il ruolo di “Corredentrice”. Molti scrittori cristiani lungo i secoli si sono soffermati a contemplare la grandezza di Maria al fianco del Cristo.
Uno di questi, in particolare, Simeone Metafraste, autore del X secolo, è considerato come l’ispiratore della devozione alla Vergine Addolorata, raffigurata nelle sembianze della Pietà.
Il Metafraste sostiene, infatti, che Ella fu presente dall’Ultima Cena fino al Calvario. In quei momenti la Vergine Maria dimostra la sua qualità di donna straordinaria, che “osa guardare in faccia una realtà così dolorosa… sopporta la violenza che il dolore esercita sulla sua natura di madre… che resta profondamente stupita di fronte alla prodigiosa capacità di sopportazione del Figlio”. L’autore elabora un vero e proprio lamento della Madre sul Cristo morto, un precedente rispetto al più noto lamento di Jacopone da Todi (“Donna de’ Paradiso”). Un testo che racconta della Vergine col cadavere di Cristo sulle ginocchia che si rammenta di quando lo cullava bambino.
Eccone uno stralcio: “Questo dolore ora si pasce delle mie lacrime… O figlio mio, morto spogliato delle sue vesti, o verbo di Dio vivente! Sei stato condannato ad essere elevato in alto sulla croce, affinché potessi attirare tutti a te. Quale parte del tuo corpo si è sottratta alla sofferenza?… O Figlio più antico della Madre! Quali lamenti sepolcrali, quali funebri lamentazioni potrò mai cantarti?.. in me tu hai infranto le leggi della natura”. Quindi Metafraste descrive le tenerezze materne riversate sul corpo piagato: “Con amore baciò i suoi purissimi piedi e le piaghe impresse su di essi e accostate le guance e gli occhi unì le sue lacrime al sangue di lui… Anche dopo la morte del Figlio, raccolse quell’acqua e quel sangue che, come se egli fosse ancora vivo, continuavano a sgorgare dal suo costato aperto”.
Queste parole hanno ispirato l’iconografia a noi nota come la “Pietà”, considerata di origine nordica (nata forse in Germania nel Trecento), in cui la Santa Vergine si china sul Figlio deposto dalla croce e ne abbraccia la figura. La Madonna stringe il corpo tra le braccia e lo copre di baci. Si capisce, inoltre, anche perché – secondo il calendario liturgico tridentino – la festa della Mater Dolorosa, opportunamente, veniva celebrata nel Venerdì della Prima settimana di Passione, (ovvero il venerdì che precede la Domenica delle Palme).
Personalmente, trovo molto suggestive anche alcune espressioni poetiche dialettali siciliane che dipingono, se possibile, con una incisività anche maggiore, questi momenti della Passione del Signore e dello strazio della Sua Santa Madre.
Dal “Passiu Santu” che si recita annualmente a Buccheri:
Banditore: Maria s’apprisenta e pieri ‘a cruci ppì chianciri lu sa figghiu duci.
Maria: Ti visti nasciri, ti visti crisciri, nun ti pozzu viriri ‘ncruci muoriri; t’ha datu u latti mia, tu ca si la vita mia dammi aiutu, dammi confortu: nun ti pozzu viriri mortu!
(Traduzione: Banditore: Maria si accosta ai piedi della croce per piangere il suo dolce figlio. Maria: Ti ho visto nascere, ti ho visto crescere! Non riesco a sopportare lo strazio di vederti morire in croce! Io ti ho dato il mio latte, tu, che sei la mia vita, dammi aiuto, confortami, perché non posso reggere il dolore di vederti morto).
L’intensità emotiva suscitata dalla contemplazione del dolore della Madonna col Figlio esanime tra le braccia, spiega l’esigenza universalmente diffusa di ritrovare la Vergine Maria nel mattino di Pasqua, tra i primi destinatari delle apparizioni del Risorto. Ella che fu associata alla passione di Cristo, conservando nel cuore la fede nella Sua risurrezione, nel silenzio del Sabato Santo, certamente fu tra coloro che fecero esperienza del Signore risorto. Tale dato doveva essere talmente ovvio che nessuno degli evangelisti sentì l’esigenza di annotarlo. Ma la Tradizione vivente della Chiesa ha sempre e costantemente creduto e celebrato nel giorno di Pasqua la “gioia” di Maria, la Madre del risorto.